venerdì 28 ottobre 2011

GIU' PER IL TUBO - playlist di ottobre



Arriva il week-end lungo di fine ottobre che porterà Halloween, tutti i Santi e la commemorazione dei defunti. Un bel chissenefrega e un paio di playlist mi faranno trascorrere questi giorni di festa in maniera serena.



La prima delle 2 playlist (quella sopra) contiene canzoni più rilassate, mentre la seconda è il solito contenitore, con dentro, di tutto (un po’) di più!
Vi auguro, comunque, di trascorrere al meglio i giorni che verranno.
bye

mercoledì 26 ottobre 2011

The Devil Whale - Golden

Teeth Cover Art

Tirate giù le tapparelle, chiudete le persiane, tenete accesa solo una luce soffusa e poi lasciatevi andare all'ascolto di questo bel lento per concludere questa giornata grigia e autunnale di piogge straripanti. Buona notte. A domani.

The Bloody Hollies – Dirty Sex



The Bloody Hollies tornano all'inciso dopo 4 anni con il loro quarto album dal titolo Yours Until The Bitter End. Rock sanguigno direttamente dagli anni '60 e '70. Good vibrations....

Tammar - The Last Line (video)

martedì 25 ottobre 2011

NINE INCH NAILS - The Downward Spiral (1994)



Curiosando nel blog mi soffermo su Achtung Baby rev. degli U2 e il mio occhio si posa su Zoo Station coverizzata dai Nine Inch Nails. Questo mi da lo spunto per poter parlare della band di Trent Reznor e di un album fondamentale degli anni '90, The Downward Spiral del1994. Ho sempre considerato i Nine Inch Nails una one man band nonostante si siano avvicendati componenti illustri. Trent Reznor, personaggio inquieto proveniente da Mercer piccola cittadina della Pennsylvania, dopo aver lavorato come programmatore da vita ai Nine Inch Nails. Nel 1991 esce Pretty Hate Machine il più elettronico della sua produzione a marchio NIN. Il 1994, invece è l'anno che vede l'uscita di The Downward Spiral capolavoro di Reznor oltre che il suo album più nichilista già dal titolo e dalle tracce che lo compongono. Lo testimoniano titoli come Mr. Self Destruct, Heresy, March of the Pigs e Big Man With a Gun ... e non vado oltre. Considero The Becomig l'apice di tutto il lavoro, brano devoto all'industrial sound intervallato da una chitarra acustica. Il disco si chiude con Hurt uno dei pezzi più struggenti scritti da Trent. Anche Johnny Cash nelle sue American Recordings ha coverizzato questo brano dandole il classico stile "man in black" Vi consiglio vivamente questo CD dove troverete metal, wave ed industrial in un connubio perfetto. The Downward Spiral è un lavoro di altissimo valore dove qualità e vendite coincidono. Qualche anno prima ci riuscirono i Nirvana con Nevermind. Nulla di paragonabile alle vendite di Cobain e soci ma posto assicurato nella top10 album US oltre ad ereditare il disagio di tutti coloro che si erano identificati nella band di Seattle. Provate a curiosare nelle desolanti Charts 2011 e trovatemi una album di qualità nella top10 UK e US, la nostra non la prendo nemmeno in considerazione. Attualmente il progetto Nine Inch Nails sembra accantonato. Reznor è impegnato con i suoi How to Destroy Angels e nel 2010 si è occupato della colonna sonora "The Social Network" insieme ad Atticus Ross. Se avete voglia di sensazioni forti avvicinatevi senza timore a Mr. Self Destruct.

-- Matteo Zeppelin --

lunedì 24 ottobre 2011

The Deep Dark Woods - West Side Street



Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un gruppo che suona dell'ottimo folk pur provenendo non proprio dai luoghi natii di questo tipo di sonorità. The Deep Dark Woods, infatti vengono dal Canada, ma di certo non fanno rimpiangere i maestri del genere. La canzone, lo dico subito, la adoro e fa parte del loro quarto album The Place I Left Behind. Le altre 3 (che si possono ascoltare sul loro sito ) mi piacciono meno, ma un giudizio complessivo spero di darlo dopo aver ascoltato l'intero disco.

The Migrant - 2811 California Street



Amerika è il secondo disco di questa band danese. L'ho trovato leggero e piacevole all'ascolto. Video sopra e disco completo nel nel widget a destra. Dopo The Tallest Man on Earth, eccovi The Migrant: il folk "americano/scandinavo" alla conquista degli Stati Uniti. Buon ascolto.

venerdì 21 ottobre 2011

Pink Floyd sulla pelle - Live in Canada 28/06/1975



Materia sempre molto dibattuta quella dei Pink Floyd. Il gruppo inglese ha costantemente diviso critica e pubblico (un po’ come i Radiohead dei giorni nostri) che, a seconda dei propri gusti, li ha fatti diventare una sorta di band-cipolla, a strati. In particolare, a parte l’esistenza in vita di quelle fazioni estremiste fatte di chi non li ha mai amati per niente, o di chi li adora invece, anche quando “suonano” la sigla di Dribbling, esiste una lunga casistica di fruitori che hanno apprezzato in tutto o in parte la loro carriera. Ad esempio ci sono quelli che dicono che i Pink Floyd sono nati e morti dopo il loro primo periodo di attività, con Syd Barrett nella line-up e sfociata nel primo album, The Piper At The Gates Of Dawn . Poi c’è chi li ama dal ‘dopo Barrett’, con Gilmour dentro, ma solo fino ad Atom Heart Mother e Middle ovvero prima delle produzioni milionarie di The Dark Side of the Moon e Wish You Were Here (la solita storia: se a conoscerli siamo in 100 son bravi, se diventiamo 1 milione sono commerciali=fanno musica di merda). C’è chi ha cominciato a conoscerli e ad apprezzare solo con l’erezione di The Wall e tutti a cantare “ehi teacher leave those kids alone!” e chi grazie all’assolo in Another Brick in the Wall ha cominciato a suonare la chitarra (ma fa solo quello da 30 anni: ne conosci qualcuno Giamp?). Ancora, quelli che sostengono che la bravura e il successo dei Pink Floyd risieda nel corpo e nella mente di Roger Waters ( si può negare ciò? ), e che contrasta fortemente il pensiero di chi attribuisce, invece, a David Gilmour e alla sua chitarra i meriti maggiori (ne ha di certo anch’egli) della carriera della band londinese.


Sono davvero tanti gli aspetti (soprattutto musicali) che andrebbero analizzati per arrivare a comprendere, almeno in linea di massima, il successo dei Pink Floyd. Sul sito di Scaruffi ad esempio (ma di storie sui Pink Floyd in rete se ne trovano a iosa), c’è l’occasione per poter approfondire l’aspetto tecnico-artistico    [che così li introduce “I Pink Floyd furono l'epitome del rock psichedelico che emerse nel 1967 in Gran Bretagna dalle ceneri dell'acid-rock di San Francisco. L'opera dei Pink Floyd fu fondamentale per conferire al genere una struttura unitaria. I loro primi album, infatti, fusero i tre filoni Americani della psichedelia: quello melodico (la canzone "eccentrica" alla White Rabbit dei Jefferson Airplane), quello improvvisato (la jam alla Velvet Underground) e quello astratto (il "freak-out" alla Red Crayola). In tal modo i Pink Floyd del 1967-69 coniarono il canone del rock psichedelico a cui si sarebbero ispirati le successive generazioni. Nel bene e nel male i Pink Floyd capirono anche i limiti e le implicazioni del genere e continuarono a re-inventarsi, trasformando poco a poco il rock psichedelico (nato per gli hippies banditi dall'Establishment) in un genere per meditazione e relax (a beneficio degli yuppies perfettamente integrati nell'Establishment). Nel proseguo della loro carriera i Pink Floyd non esitarono a cambiare il sound psichedelico da sound aspro e cacofonico a sound levigato e vellutato. In tal modo i Pink Floyd elevarono il sound psichedelico a koine` universale, a prescindere dalle istanze e velleità di questo o quel pubblico, un po' come negli stessi anni il jazz-rock stava "vendendo" l'angoscia del popolo Afro-americano al pubblico dei qualunquisti bianchi”. ]

Ma, come sempre, quando si parla di musica … alla fin fine… fortunatamente e innegabilmente, conta solo quella. Il concerto è del ’76. La qualità dell’audio è davvero eccellente. Non resta che cliccare su play. Buon fine settimana. Alla prossima.



[tracklist]
01 - Raving And Drooling - 02 You Gotta Be Crazy - 03 Shine On You Crazy Diamond (parts 1-5) - 04 Have A Cigar - 05 Shine On You Crazy Diamond (parts 6-9) - 06 Speak To Me - 07 Breathe - 08 On The Run - 09 Time - 10 The Great Gig In The Sky - 11 Money - 12 Us And Them 13 Any Colour You Like - 14 Brain Damage - 15 Eclipse - 16 Tuning - 17 - Echoes

giovedì 20 ottobre 2011

BLUE CHEER - Vincebus Eruptum (1967)



In un post precedente ho parlato dei Pentagram, band fortemente influenzata dai Blue Cheer. E' giunto il momento di soffermarci su un album seminale dal titolo VINCEBUS ERUPTUM (1967). I Blue Cheer sono un trio proveniente da San Francisco. La loro Frisco è differente da quella colorata e psichedelica di concittadini illustri come Grateful Dead e Jefferson Airplane. Basta ascoltare Summertime Blues,di Eddie Cochran, brano che apre l'album per rendersi conto che stiamo parlando di hard rock a volumi altissimi. Si prosegue con Rock me baby di chiara impronta blues fino a raggiungere un suono di chitarra dilaniato in Doctor Please. Altra gemma dell'album è la cover di Mose Allison, Parchment Farm. Se amate le chitarre suonate a volume altissimo è un album da possedere senza la minima esitazione. Innumerevoli le band devote al suono dei Blue Cheer. Provate ad ascoltare un qualsiasi album dei Mudhoney per rendervi conto dell'importanza del trio di Frisco. I Might Could, band hard blues della Virginia, hanno volutamente copiato la copertina di Vincebus Eruptum facendola propria. Concludo con i Nirvana. Chi possiede il cofanetto (With the lights out DVD) noterà che nelle prime registrazioni casalinghe nell'appartamento del bassista K. Novoselic è in ben evidenza la copia vinilica di questo favoloso album. Mi auguro di avervi convinto nell'avicinarvi al Blue Cheer sound.
-- Matteo --

martedì 18 ottobre 2011

PENTAGRAM - First Daze Here (the vintage collection)

Ricevo e molto volentieri pubblico, questo contributo del mio amico Matteo, sperando di annoverarlo presto, tra i pubblicisti permanenti di questo blog.



Volevo segnalare questa compilation di una band 70's conosciuta solamente dagli amanti del genere. La Relapse etichetta non proprio dedita al sevenities ma vicina al grindcore e generi affini, ha reso possibile il recupero di queste indispensabili tracce. Frettolosamente considerati i Black Sabbath americani,nei Pentagram non è presente solo il dark sound di matrice albionica ma soprattutto l'anima dei Blue Cheer. Se si ascolta un album come Vincebus Eruptum (classico della band di Frisco) l'accostamento è immediato. Da notare, comunque, che le tematiche trattate nei testi sono completamente differenti nelle due band. Dark sound nei Pentagram, hard rock nella band di San Francisco. I continui cambi di line up e le innumerevoli reunion non hanno contribuito al successo della band che aveva tutte le credenziali per imporsi non solo sul mercato americano ma anche su scala internazionale. Partite da questa raccolta come inizio. Una volta entrati nel mondo Pentagram sono sicuro che vi documenterete su tutto il loro catalogo senza dimenticarvi dei magnifici Blue Cheer.
Buon Ascolto.
by Zeppelin

venerdì 14 ottobre 2011

Neil Young - Plays Acoustic In Paris, 12/11/1989



Un bel week end di tutto relax, con un gran concerto di Neil Young voce e chitarra (la fretta fa scrivere grosse minchiate!). I classici ci sono tutti. Buon ascolto. Ci si becca lunedì.



My My Hey Hey (Out Of The Blue)
Rockin' In The Free World
The Old Laughing Lady
Dont Let It Bring You Down
This Note's For You
The Needle & The Damage Done
No More
After The Goldrush
Ohio
Rockin' In The Free World
Powerfinger
Stringman
Dog House
Tonights The Night
Just Like Tom Thumb's Blues

Two Dark Birds – anteprima nuovo album

Image of Two Dark Birds: Songs For The New (CD)

Un paio di canzoni da ascoltare, guardare, e se volete, scaricare tratte dal promettente album Songs for the New dei Two Dark Birds. Se poi vi sono piaciute così tanto, l'intero disco ve lo potete ascoltare in anteprima dopo il video.

Black Blessed Night


"Song for Clementine"



giovedì 13 ottobre 2011

The Horrors - I Can See Through You (video)

Achtung, Baby! U2 revisited



Altro ventennale di tutto rispetto da celebrare, quello dall'uscita di Achtung Baby degli U2. Forse, anzi senza forse, la band irlandese è oggi la caricatura di se stessa (certo, c'è anche chi non li ha mai amati), ma a mio modestissimo parere, l'album "tedesco" degli U2, delle Trabant e dei live mediatici con frasi ad effetto sparate alla velocità della luce, resta l'ultimo documento sonoro di un certo livello firmato da Bono & soci. Il 26 ottobre, dunque, esce una versionecover dell'album che vede una platea di artisti di tutto rispetto (sotto trovate la track list), ad ognuna delle quali è stato dato l'incarico di rifare una delle canzoni di Achtung Baby. Le uniche 2 che sono riuscito a sentire, ad oggi, sono quelle postate sotto, ovvero One, rifatta da Damine Rice ... e questa non m'è piaciuta molto, mentre Love is Blindness, nella versione di Jack White, mi sembra passabile e decisamente diversa dall'originale.  Il CD, come vi dicevo esce il 26 del mese corrente e si chiamerà AHK-toong BAY-bi Covered. Anche in questo caso, il caro Bono non si è fatto mancare l'occasione per un po' di sana paraculaggine, e parlando di questa operazione ha detto al Q Magazine "E' strano, perchè quando finimmo l'album, le canzoni mi sembravano brutte, mentre riascoltandole rifatte da questi artisti ho pensato che sono veramente belle e che alcune, addirittura, sono anche meglio delle originali"!, rovinando per sempre quel poco di credibilità che il disco aveva acquistato senza la loro presenza. Vabbè. In attesa di ascoltare il resto dell'album, vi lascio alle vostre riflessioni al riguardo.

Damien Rice - One


Jack White - Love is Blindness


1. Nine Inch Nails – Zoo Station
2. U2 (Jacques Lu Cont Mix) – Even Better Than The Real Thing
3. Damien Rice – One
4. Patti Smith – Until The End Of The World
5. Garbage – Who’s Gonna Ride Your Wild Horses
6. Depeche Mode – So Cruel
7. Snow Patrol – Mysterious Ways
8. The Fray – Trying To Throw Your Arms Around The World
9. Gavin Friday – The Fly
10. The Killers – Ultraviolet (Light My Way)
11. Glasvegas – Acrobat
12. Jack White – Love Is Blindness

mercoledì 12 ottobre 2011

TIMBER TIMBRE - Do i Have Power



Questa è la nona traccia del disco Creep On Creepin' On dei canadesi Timber Timbre. Un bel sassofono rubato ai Morphine e atmosfere rilassate al limite dell'inquietudine. Tra i dischi del 2011 ancora sott'osservazione per la playlist finale.

LIAM FINN - Jump Your Bones (video)

lunedì 10 ottobre 2011

Il mio contributo agli anni '90




“I decenni in musica” del blog It's Only Rock'n'Roll sono arrivati agli anni ’90. Si sa che nel fare una classifica si corre il rischio (come in questo caso) di lasciar fuori album interi (nel mio caso pearl jam, buckley, black crowes, rem e counting crowes su tutti) ma questo è il gioco.Ma questo, è stato anche un ottima ragione (tralasciando i dischi degli artisti sopra citati) per tirar fuori un altro elenco, con audio annesso, di tante gemme (e non ancora tutte) che mi premeva  riscoprire, se non altro per il gusto personale di riascoltarle e condividerle, visto che i ’90 sono stati “i miei anni”; quelli iniziati dopo le superiori, dei cambiamenti, delle scelte più difficili, che hanno segnato indelebilmente il corso futuro della mia vita.
Solo che, passando in rassegna con più attenzione la decade in esame, riflettevo, come, a distanza di tanti anni, le uscite dei ’90 siano state profondamente segnate da una rivalità assolutamente casuale tra la musica inglese e quella americana, e così ricca di nuovi talenti e spunti (gli ultimi?) di originalità, in cui le cazzate scritte hanno lasciato il posto a ottime composizioni. Partiamo da quella che è stata la “nuova onda” inglese elettroacustica che ha coperto l’intero decennio. Per più di un lustro, forse, appannaggio delle band con maggiore attitudine "all’elettricità", mentre fine ’90 inizi del 2000 son venuti fuori Quelli del cosiddetto New Acoustic Movement (Turin Brakes, Kings of Convinience, i primi Coldplay, Ben Christophers, gli ottimi esordi di Starsailor, Tom MacRae e I AmKloot) che hanno tirato giù la saracinesca del periodo d’oro anglosassone.  I più rappresentativi e i più longevi sono stati indubbiamente gli Oasis e What’s the Story Morning Glory è ancora lì che brilla di luce propria, ma The Verve, un paio di anni dopo, minarono seriamente la leadership dei fratelli Gallagher con l’album Urban Hymns, e un pugno di grandi canzoni al suo interno, a  cominciare da Bitter Sweet Simphony (anche se l’ascolto del riff d'archi iniziale che imperversa nel brano, negli anni, è diventato irritante quasi come il pooo-popopopopooo-po dei White Stripes) DrugsDon’t Work, Lucky Man o la dolce Sonnet che ho scelto per l’occasione.



Altri esordi autorevoli da ricordare, tra le tante big thing strombazzate dell'epoca, quello degli Ash e degli Stereophonics, così come i Kula Shaker che tra le nuove uscite, però, furono i miei preferiti grazie allo sfavillante esordio K del ’96. Il disco non fa una grinza per tutti la sua durata, e per ricordarli, (oltre alla recensione di Giamp che trovate alla fine di questo post) ve li rappresento, proponendovi Tattva e Govinda.





Un capitolo a parte lo meriterebbe Radiohead dopo un'attenta analisi revisionistica dei loro album. Al momento mi accontento di riproporre Just, la mia preferita dal loro bellissimo secondo album The Bends.




Doverosa chiusura per Paul Weller: un artistache a dire il vero non amo particolarmente ma che ha scritto una canzone come Wild Wood che mi fa venire i brividi ad ogni ascolto.



Beh, adesso dovrei parlarvi mooolto a lungo del decennio a stelle e strisce. Ma mi ci vorrebbe davvero tanto
di quello spazio da doverlo chiedere in prestito ad un altro blog. Per cui,considerato che questo post era nato per dare spazio agli esclusi della classifica di cui vi parlavo all’inizio che includeva (REM - Man on the Moon; Jeff Buckley – Grace; Janes’sAddiction -  Stop; Black HeartProcession – Blue Tears; Pearl Jam – Rearviewmirror; Oasis – Don’t Look Back in Anger; P.J. Harvey – The Dancer; The AfghanWhigs – Debonair; CountingCrowes – Mr. Jones; Soundgarden – Fell on Black Days: The Black Crowes – Remedy; ScreamingTrees – Nearly Lost You; Pavement – Range Life; Red Hot Chili Peppers – Breaking the Girls; U2 – One; Grant Lee Buffalo – Fuzzy; Peter Gabriel – Washing of the Water; John Mellencamp – Human Wheels; Grandaddy – Summerhere Kids; SmashingPumpkins – Tonight, Tonight) vi elenco un ulteriore serie, e non definitiva anche questa, di ottimi motivi (leggasi canzoni) che mi porta a dare preferenza assoluta (a prova di nuova legge elettorale) e a mani basse, dei vari movimenti grunge, crossover, Americana/roots e sottotitolati vari.

Come il testamento lirico compositivo degli Alice In Chains - Down In a Hole ...



l’ingresso nell’olimpo dei rockers tristi e sfigati di Mark Oliver Everett, in arte Eels - Novocaine for the Soul ...




un altro perdente di razza come Beck – Loser, la sua canzone più bella di un album che non mi piacque particolarmente, a differenza del successivo capolavoro, O’delay ...




l’ultimo capitolo ufficiale dei Nirvana - Heart Shaped Box ...




Il “tradimento funky/stoniano” dei Primal Scream - Rocks ...





Come per Mr. Everett degli Eels, un altro triste e commovente esordio fu quello degli Sparklehorse – Pig, anche se il cantante Mark Linkous ha di recente buttato la sua depressione sotto un metro e mezzo di terra...




Una delle (diciamo 10/100/1000) canzoni che adoro di più in assoluto: la ballatona elettrica dei Dinosaur Jr - Get Me con un assolo finale di chitarra di quelli, che non se ne sentono in giro da parecchio ...




A proposito di crossover, il lascito sonoro e sociale dei Living Colour – Pride ...




Con meno chitarre e più sfaccettato, tra rock reggae soul e molto altro ancora Don’t Call Me Buckwheat di Garland Jeffreys - Hail Hail Rock'n'Roll ...




Per concludere, giusto un ultimo accenno ad alcuni brani  che mi sono tornati alla mente e sempre di stampo americano, che in quegli anni fecero la felicità delle radio di mezzo mondo

Cracker – Get Off This

Hootie& the Blowfish – Hold my Hand

Live – Iris

Tanta carne al fuoco, ma il barbecue è venuto fuori una meraviglia!


KULA SHAKER - K (1996)  [la recensione]

Estate 1996. Lavoravo in un posto dove la buona musica non mancava. L'ambiente ideale per affrontare la serata lavorativa con allegria e spensieratezza.
E proprio durante una serata di lavoro un caro amico, di passaggio per una birra, mi allungò un nastro (eh si, a quel tempo si usavano ancora…) che conteneva da un lato i Pearl Jam di No Code e dall’altro i KULA SHAKER di "K".
KULA SHAKER: gli ideatori di questo gruppo , Crispian Mills e Alonza Bevan , già reduci dall’esperienza “The Keys” con due EP all’attivo e riscontro di pubblico deludente, decidono di fare sul serio nel 1995 trasformando il nome della band proprio in KULA SHAKER.
Mills, in particolar modo, profondamente cambiato dopo le esperienze di viaggio in India, sentiva la necessità di tradurre in musica le nuove conoscenze .
Le influenze psichedeliche già divorate con i Keys prendevano ora forma dando vita ad un filone che potremmo incorniciare come una sorta di Brit-pop psichedelico.
I suoni del disco rievocano le sonorità anni ’70 impregnate di sitar di tabla e di misticismo indiano. Odore di incenso che si riversa con impeto dappertutto, innesti alla G. Harrison e linee melodiche contagiose ed accattivanti di una chitarra funky semidistorta.
Un mix perfetto per fare breccia nella audience britannica e non solo (alzi la mano chi almeno per una volta non ha SHAKERato il fondoschiena al suono di Tattva o di Govinda! )
La qualità delle canzoni mantiene un livello omogeneo che rende il disco godibilissimo, capace di catturare i palati più fini e soddisfare anche chi ha l’esigenza (?!) di un disco easy listening .
Audace il tentativo di catturare fette di pubblico più ampie inserendo cerimoniali (Grateful when you’re dead - Jerry was there) per J.Garcia dei compianti Grateful Dead appena sciolti a causa della scomparsa del loro leader.
Il tentativo poi di farla passare per musica colta o di nicchia (accostamenti a King Crimson oBeatles) e l’etichetta di gruppo di culto non portò di seguito molti frutti (album disattesi) .
In verità Mills , con tutto il rispetto, non è Fripp figuriamoci provare ad impersonare Lennon !!!
Non furono sufficienti suggestioni indiane ed arrangiamenti ben prodotti per camuffare mancanze strutturali e approssimazione nell’inventiva. Questo portò a non essere i KULA SHAKER un gruppo consolidato nel tempo.
Avevo comunque voglia di riascoltarli e di cantare ("gooovinda jaja, jaja, gopala jaja, jaja, radaha mana ha-ari, gooovinda jaia, jaia" scritta come la sento pronunciatae a distanza di anni ri-scopro come "K" fosse un ottimo disco di esordio per una band che si è bruciata troppo in fretta.

Giamp