giovedì 30 aprile 2009

Il negozio di dischi antichi!!!
Quando i dischi erano neri e quando avevano un piccolo foro al centro, quando le copertine era una delizia sfogliarle, quando dovevi stare attento da che lato era la tua canzone preferita e nessuno sapeva quanto durasse; quando e all’infinito quando, quasi a voler canticchiare un motivetto che con questo avverbio ha fatto storia.
Ma su di uno dei “ quando “ vorrei soffermarmi più che su ogni altro.
“Quando” c’erano i negozi di dischi e accorreva in tuo aiuto il negoziante, e talvolta che negoziante. Il negozio in questione si chiama Caru’ Dischi - di Paolo Carù, negozio storico di dischi in quel di Gallarate (VA) cittadina nota più per fatti di cronaca che per altro; un posto- quel negozio- dove perdersi nei pomeriggi piovosi era qualcosa di sublime ed incantevole. Scaffali antichi, quasi una farmacia del Disco. Ascolti diretti dallo stesso proprietario (un uomo dalla barba folta ma dagli occhi mansueti) ti guidavano poi all’acquisto certo e quasi mai deludente.
Ora nei supermercati o anche negli stores di settore, la cosa non è dello stesso spessore, tutt’altro !!!!
Gli anni a cui mi riferisco sono ovviamente i mitici 80’s, anni in cui uscivano sul mercato alcuni tra i dischi che più mi sono rimasti in mente- e non ve li cito per non sentirmi così vecchio- e che magicamente ti rende fiero di averli tra la tua seppur minima collezione in vinile.
Uno in particolar modo mi rende raggiante di averlo in formato 33 giri. Un disco che ha fatto storia e che poi sono tre.
Era il tempo in cui i dischi costavano parecchio e questo essendo formato da tre mi costo un bel po’ di risparmi del tempo.
L’anno di riferimento è il 1980, il disco Sandinista ed il gruppo The Clash.
Con questo disco i Clash fecero una svolta musicale notevole, che segnò i tempi proprio per l’audacia di dar vita ad un triplo disco dalle sonorità contaminate che più niente avevano ache fare con il loro passato Punk. Contrariamente a molti altri gruppi musicali, i Clash sopravvissero al movimento punk, che ebbe breve vita. Questo grazie all'intelligenza del gruppo che seppe evolversi integrando nella propria musica gli stilemi del rockabilly e del reggae. Forse secondi solo alla mutazione musicale a cui parteciparono negli stessi anni i Police.
L’ ascolto consigliato, vera chicca, di cui vorrei rendervi partecipi riguarda un brano, appunto, dei tre dischi ( che in cd sono diventati 2, sobh!!!) il brano in questione si chiama non a caso - If Music Could Talk - quasi a volerci ammonire ed invitarci ad ascoltare quando la musica parla.
Il brano non si discosta dal resto dei brani contenuti nel triplo lp , ritmi dub and reggae, quello che coglie alla sprovvista di questo brano è invece la possibilità di ascoltarlo in due differenti modi. Il primo, con entrambi i canali right and left attivi; l’altro, e cioè quello che prevede uno o l’altro canale singolarmente, darà un risultato differente. Si in sostanza hanno inciso su differenti canali le parti cantate che sovrapposte formano la canzone nella sua totalità e completezza melodica.
Provare per credere………
Giamp
the clash - If Music Could Talk

martedì 28 aprile 2009

RESTO IN ASCOLTO presenta:
memorabilie Live
Certo non rispecchia la velocità di fruizione della musica on line attuale, ma l'idea di un concerto al mese da inserire mi piace davvero tanto. Battezziamo questa nuova rubrica andando a festeggiare un fine d'anno insieme agli U2, proprio a Dublino. Era il 31/12/1989 e trascorrere un veglione del genere non credo sia capitato a molti nella loro vita. Erano i tempi in cui i 4 dubliners mettevano il punto e virgola alla loro carriera con l'album Rattle & Hum e gli omaggi alle loro muse ispiratrice. Nelle ultime canzoni di questo concerto troverete B.B. King ad accompagnarli in When Love Comes to Town. Da segnalare anche gli accenni ai classici quali Exodus di Bob Marley, e The Times They Are A Changing di Dylan e la poco suonata live One Tree Hill facente parte di Joshua Tree. ENJOY!






Track List:
01 - Where The Streets Have No Name; 02 - I Will Follow; 03 - I Still Haven't Found What I'm Looking For; 04 - Exodus; 05 - MLK; 06 - One Tree Hill; 07 - Gloria; 08 - God Part II; 09 - Desire; 10 - All Along The Watchtower; 11 - All I Want Is You; 12 - Bad; 13 - Van Diemen's Land; 14 - Star Spangled Banner; 15 - Bullet The Blue Sky; 16 - Running To Stand Still; 17 - Dirty Old Town; 18 - The Times, They Are Changing; 19 - New Year's Day; 20 - Pride (In The Name Of Love); 21 - Party Girl; 22 - Angel Of Harlem; 23 - When Love Comes To Town; 24 - Love Rescue Me; 25 - '40'

venerdì 24 aprile 2009

La cartolina di Zach Condon

La vita di per sé è sinonimo di viaggio.
Il viaggio in mare è del resto metafora della vita per molti poeti, uno tra tutti Omero.
Dunque il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso.
Il viaggio inteso come perlustrazione, ma anche come scoperta, conoscenza e desiderio di divertirsi.
Avrà pensato così anche Zach Condon nel momento in cui giovanissimo decide di lasciare i confini natii ( Santa Fè - New Mexico ) e viaggiare attraverso i confini della vecchia e cara Europa. Questo incamminarsi alla ricerca di se stessi o di chissà cosa.
I frutti di questo viaggio sono palesati nella contaminazione balcanica del suo primo disco, a nome Beirut, ( il cui titolo è già esauriente ) Gulag Orkestar del 2006.
Ma il viaggio per Zach non finsce a Praga, Budapest ne tantomeno a Bucarest.
Il viaggio di Zach prosegue fino a Parigi, dove tra l’altro troverà residenza stabile.
Anche questa destinazione del viaggio arricchisce senza scalfire i suoni insoliti per la tradizione indie-folk americana da cui proviene.
Elabora e contamina le sonorità balcaniche con deliziosi siparietti francesi che ben sposano le tradizioni dell’Est europeo, dando così vita ad un secondo lavoro –The Flying Cub Cup -.
Lo possiamo così immaginare in viaggio con la sua chitarra nelle strade di Parigi o per i vicoli di Praga. Il viaggio deve averlo però portato anche sulle strade italiane e magari deciderà di eleggerla come sua prossima destinazione residenza. Ne è riprova la sua splendida cartolina dall’Italia.
Bon Voyage Madames e Messieurs.
Giamp

mercoledì 22 aprile 2009

Che San Giorgio mi possa fulminare...
... se non dico la verità!!!!

E’ la traduzione di un modo di dire dialettale che non potrò dimenticare, anche perché ogni volta che la cito in famiglia, le risate non possono mancare, pensando alla storia che si porta dietro.
Ma non voglio tediarvi ulteriormente con questo racconto..
Il motivo per cui la prendo a prestito e la divulgo è dovuto al fatto invece che oggi si celebra la Festa Patronale a lui dedicata nella cittadina di Vieste (pensate che ne parlano anche su Wikipedia) , ma non solo dato che San Giorgio è martire universalmente riconosciuto come colui che combatteva i draghi e quindi il male.
Se poi dietro ci mettiamo che nella iconografia rockettara il Drago rappresenta una buona fetta il gioco presto fatto e le somme si tirano in tempi rapidi.
E allora perché non goderci le note di Black Dog dei (magari se un giorno i Draghi divenissero domestici io lo chiamerò così il mio !!!) dei Led Zeppelin. In fondo sono punto di riferimento per quelle comunità che ancora si ispirano al mondo degli Elfi, Gnomi e personaggi vari e appunto Draghi. Magari nelle loro Terre di Mezzo qualche Drago ancora lo si può cavalcare.
Jimmy Page tra le sue prime chitarre annovera una Fender Telecaster Paisliey adornata di motivi psichedelici su cui capeggia appunto un” Drago Minaccioso” . Immagino l’ effetto che avrà potuto conquistare quando le sue corde sparavano fuori assoli acidi e corrosivi come quello che vi propongo di ascoltare.
E se poi San Giorgio mi fulminasse veramente???
Buona festa
Giamp
Resto In Ascolto presenta:
non ho bisogno di te!

Questa nuova iniziativa è volta a segnalare i dischi che non hanno bisogno di una recensione e quindi di essere spiegati, analizzati, sezionati, ma solo ascoltati e goduti.
Questa volta tocca ai TWISTED WHEEL, usciti da poco con il loro primo e omonimo album, che schiuma rock e birra da ogni nota... e mi fermo qui.

lunedì 20 aprile 2009

A VOLTE...
...ovvero quel motivo che fa così.

A volte ci si sveglia con un motivo in testa , una canzone che fatica ad uscire dalla nostra mente.
Una canzone che a volte ti prende e ti porta per mano lungo tutto l’arco della giornata.
La canti, la fischietti, tamburelli con le dita sulla scrivania, guardi fuori dalla finestra per distrarti, ma niente, lei rimane lì nella tua mente.
Una indigestione musicale nemmeno fosse la cosa di cui siete più ghiotti e golosi.
Fragole , ciliegie, cioccolato.
Talvolta come in astinenza la canzone ti porta a pigiare play in continuazione.
Ancora ed ancora una volta.
Al lavoro, in macchina, sotto la doccia di corsa. Fino ad esaurirla.
A volte ti capita che poi la canzone sia un fuoco di paglia, altre le colonne di granito , inattaccabili.
A volte è la colonna sonora di una estate, di un lustro , il ricordo di un amore, un bel pezzo di vita. Certe altre bruciano ancora nel tuo cuore e nemmeno riesci a ricordare quando si sono accese.
Oggi ancora una volta sono stato folgorato da In a Manner of Speaking dei Tuxedomoon!!!!
Buon ascolto
Giamp

venerdì 17 aprile 2009

Resto In Ascolto presenta:
Ufficio Canzoni Smarrite
B-52's - Pump (Live Benicassim 2007)

giovedì 16 aprile 2009

MALAKAI - Ugly Side Of Love

Trattasi approssimativamente di schegge di puro intrattenimento. I ricordi di un esordio così accattivante si perdono tra i solchi di Gallowsbird's Bark dei Fiery Furnaces del 2003 (quello fu l’anno anche dell’altro grande esordio a firma degli Okkervil River). Anche allora i fratellini Friederberger di Chicago mi spiazzarono per via del loro talento, alquanto imprevedibile, in grado di imbastardire i canoni classici del blues e del rock con le sonorità più disparate. Un po’ come ha fatto Beck. E come ha fatto questo duo inglese di Bristol, i Malakai. Hanno preso le chitarre, la batteria e qualche marchingegno elettronico del vivere attuale e ci hanno ricamato 14 visioni che sono blues, psichedelica, vintage, Isaac Hayes, Hendrix, anni ’70 e pantaloni a zampa d’elefante. La voce di Gee arricchisce le composizioni, e quando tira di blues ricorda molto quella di Shawn Smith (leggi Satchel e Brad). È uno di quei dischi, poi, che immancabilmente mi fa tornare alla mente questo o quel film, e Ugly Side Of Love, ad esempio, lo vedrei bene, in forma cazzonara da accompagnamento a uno degli episodi, meglio il primo, della saga dell’imbranato agente speciale 007 Austin Power. Un album che parla del lato sporco dell’amore e che alla fine dei suoi 35 minuti, ti lascia le mani unte di grasso. Shitkicker, Snowflake, How Long, Fading World, solo alcune delle impronte lasciate dai Malakai in questo disco. Clap your hands, say Wow!
http://www.myspace.com/malakaibristol
Gianni Ragno


martedì 14 aprile 2009

Parole, parole , parole, meritevoli parole…..
Tina Weymouth, iconica sfinge bionda e bassista dei Talking Heads, tanto da suscitare in tempi più attuali le attenzioni di Katie White dei Ting Tings. Lei , la iconica, è la sintesi tra nevrosi NewYorkese e spensieratezza Tropicale. Decide nel momento di maggior gloria per gli ultraintelletualizzati Talking Heads di Byrne e Eno di volare con Chris Frantz (suo amato maritino e batterista dei Talking Heads) alle Barbados e incidere un disco per e di puro diletto a nome Tom Tom Club (molto prima dell’avvento dei satellitari !!!!). Ma di solo diletto non si è trattato. Divenne per il periodo disco di nicchia. A dimostrazione di come le parole siano a volte non semplici parole ma parole meritevoli al punto di giocarci attorno.
Buon ascolto
Giamp


martedì 7 aprile 2009

QUELLO CHE LE RADIO (commerciali) NON DICONO
PLAYLIST DI APRILE

1. The Veils - Three Sisters
2. Wildbirds Peacedrums - Doubt Hope
3. The Silt - Come Back to the Willow
4. Swan Lake - Spanish Gold, 2044
5. Meridene - Stay Alive
6. Sholi - Torniquet
7. Ministri - Tempi Bui
8. M.Ward - Never Had Nobody Like You
9. John Flyn - Two Wolves
10Fol Chen - Winter, That's All
11.In flight Safety - Actors
12 Romi Mayes - Achin In Yer Bones





VIDEO DEL MESE
In-Flight Safety - Actors

lunedì 6 aprile 2009

PEARL JAM - Riot Act
Svarione in area di rigore
(Ovvero rilettura di un album)

Il vino si sa con gli anni migliora, a meno che la negligenza umana non ne causi un improvviso acetire. Così succede che nel rispolverare Riot Act, album su cui il sottoscritto ha soprasseduto, ci si accorga che la mano dell’uomo lo ha conservato così come era. A dire il vero lo trovo, seppure più robusto e tannico, molto al di sotto delle aspettative ora più che mai.
Disco che ha segnato lo sblocco dello scrittore. Gli eventi infausti (11 settembre- Guerra Irak- Roskilde) crearono un evidente blocco della stesura del disco da parte di Vedder e soci. Disco anche del dolore per i Pearl Jam. Il dolore che prende forma in questo disco e risponde materializzandosi alla sua maniera (particolarmente in Arc, un vero e proprio canto funebre di matrice Nativi d’America, con incisione di ben 10 voci).
Ma il brano con cui rispondono esattamente al dolore per la scomparsa di nove vite mai conosciute è Love Boat Captain. Una metafora, quella di Love Boat Captain, che rievoca valori come fede–amore-morte. In questo brano riferimenti espliciti all’amore e citazioni gratuite ai Beatles “…All you need is Love, love love” . Il tema della morte compare su più brani in questo disco, che snocciola anche brani come I Am Mine in perfetto stile Zeppeliniano ed attinge a piene mani alle roots del territorio classico; la canzone sembra essere nata appositamente per essere un singolo di impatto, un brano piacione. Cosa evidente dato i passaggi nelle radio usualmente dedite a programmazioni commerciali. Altra composizione tipicamente ‘vedderiana’ è Can’t Keep. Scritta primitivamente solo con l’ukulele, strumento tanto caro a E. Vedder, (tanto da tirarlo in ballo nel suo ultimo lavoro Into The Wild) , è una sorta di viaggio interiore dove la perdita dell’innocenza fa il pari con la rivolta politica.
Da segnalare anche la possente SaveYou, registrata ed incisa dal vivo - in fondo i live sono la vera forza dei PJ - tanto da poter in questo caso competere e superare gli show degli U2. La registrazione dal vivo avvenne per mantenere alto il livello del disco, per volontà dei produttori Brendan o’Brien ed Adam Kasper e donare distanza dal precedente esperimento che fu Binaural, album nebuloso ed alieno.
Con Riot Act i PJ ritornano se non altro sul pianeta terra imbracciando le chitarre elettriche, ma senza quei riff per cui ce ne siamo innamorati. Il resto dei brani, a firme varie, sono un compendio di ciò che i PJ sono stati negli anni. Una ulteriore ultima nota va spesa per Bushleaguer brano che si è resa nota per il gesto di piantare sull’asta del microfono una maschera di Bush, creando polveroni di varia natura, nient’altro. Questo ostinarsi a fare per forza l’ alter ego non giova ai PJ che se avessero tentato di rimanere tali (rockettari !!!!) avrebbero dato alla luce vini di maggiore genuinità. Si sa oggi vinificare è divenuta un’arte e con l’arte non si scherza. Non bisogna per forza di cose inventarsi alchimie per rimanere sulla cresta dell’onda. Di certo questa di Riot Act non è la band che abbiamo ammirato in Ten (e per fortuna oserei dire!!! ) ma nemmeno quella di Binaural che cronologicamente è la più vicina ma anche la più distante in termini musicali. Forse Riot Act è più vicino a Vs o No Code di quanto non lo si possa immaginare. Note e venature punk e grunge si percepiscono maggiormente che in altri recenti lavori. Anche la capacità compositiva di McCready e Ament è mutata, meno groove e più mente. Cameron si sa non è Irons (ora farò felice un amico !!!) seppure suoni in maniera più potente, più tecnica, ma meno stravagante. Per non parlare poi della tecnica vocale di Vedder che a mio avviso ha preso lezioni di canto ed affinato l’interpretazione ma in termini di spessore, dona poco alla complessità del disco . "È un arte convivere col dolore, nel grigio mischiare la luce. Abbiamo perso 9 amici che non conosceremo mai, 2 anni fa, oggi. E se le vite divenissero troppo lunghe ciò accrescerebbe il nostro rammarico". (Love Boat Captain)
Buon ascolto
Giamp

Pearl Jam - Love boat captain

venerdì 3 aprile 2009

MUSIC SERIAL (TV) CONNECTION
In questi ultimi anni sono stato spesso sul punto di mollare completamente la musica, soprattutto in termini di ricerca di nuovo materiale sonoro. Mi erano passate un po’ la voglia e gli stimoli. Gli impegni lavorativi sono sempre tanti e pressanti che moltiplicati a quelli familiari riducono ai minimi termini le residue forze psico-fisiche. E devo un sentito ringraziamento, allora, a questi serial televisivi, ovviamente americani, che sono stati e continuano ad essere una fucina di musica nuova alternativa. Si pensi ad esempio a Grey’s Anatomy. Ebbene la curatrice della colonna sonora di ogni singolo episodio trascorre giornate intere ad ascoltare le nuove uscite alternative e non per poi adattarle alle varie puntate messe in onda. Ma è solo un esempio nel grande mare dei serial televisivi esistenti. Anche perché ce ne sono alcuni che inseriscono 3-4 canzoni in ciascun episodio, altri che ne utilizzano meno, a seconda delle proprie esigenze. Giovedì sera, ad esempio, mentre leggevo il Mucchio, prestavo orecchio ad un episodio di CSI New York, nel quale c’erano queste 3 canzoni sotto postate in video che mi sono sembrate molto carine.

Silversun Pickups - "Lazy Eye" (Single Edit Version)




Santogold - Say Aha




The Black Ghosts 'Repetition Kills You'

mercoledì 1 aprile 2009