mercoledì 30 settembre 2009

WILD BEASTS - Two Dancers
Una cosa è certa nell’ascolto di Two Dancer - secondo episodio della epopea Wild Beasts-:
Jimmy Sommerville è vivo e vegeto”, continua a mietere il grano e magari qualche lezione di canto a Thorpe ( non il campione di nuoto Ian) l’ avrà di sicuro data. Così come il bassista Fleming ( non quello della penicillina) di nascosto avrà incontrato Guy Garvey degli Elbow.
Un disco questo Two Dancers che si maschera di richiami New Wave, un disco che gioca sulla possibilità di far convergere dimensioni sonore levigate, glabre, con un contenuto lirico aggressivo e penetrante., quasi un manifesto della nuova gioventù britannica , inappagata e volta al teppismo. Elementi musicali che contornati da chitarre che limano i dettagli, costruiscono riff centrali ricamano trame inconsuete e piene di mille sfaccettature . E come se all’interno dello stesso disco convivessero molteplici anime. Editors, Duran Duran, Roxy Music, Stranglers ( a quando un pezzo su di loro?) Elbow, Bee Gees e Antony & the Johnsons.
Tutto elegantemente piallato ed assemblato pronto per essere montato come quei mobili di una nota catena sedese. Ci si augura che i ventenni ( Wild Beasts ) di oggi abbiano lunga vita.
Si sa che i falsetti e gli orpelli non hanno il dono della bellezza universalmente riconosciuta.
Non durano per sempre. Per ora ci resta la voglia ( seguendo le leggi del diletto) di beneficiare di questo disco. Buon ascolto
Giamp

PEARL JAM - Backspacer
(la recensione)

Strana sensazione la mia dopo un primo rapido ascolto di Backspacer. Disco che trovo di primo impatto compatto nel complesso, di buon andamento, qualche accellerata presente qua e la, alcune ballate, rimasugli di periodo andati e la voglia di catturare coloro i quali erano spaventati dall'aggressività con cui si rendevano famosi i Pearl Jam, viste le tinte pop di cui sono intrisi alcuni brani e vista la breve durata dell'intero lavoro ( appena 36 minuti). Ma ritorniamo a noi. Parlavamo di strane sensazioni. Nessuno stato d'ansia mi ha colto nell'attesa che da mesi annunciava il nuovo lavoro. Nessun attacco di panico , visto che nulla di più mi aspettavo da loro dopo l'omonimo disco passato inosservato ( ribattezzato Avocado ). Eppure gli addetti ai lavori sono stati catastrofici nel descriverlo. Senza contare gli analogismi in termini negativi fatti con altri dinosauri del panorama rock. Io ho semplicemente atteso. D'altronde il mio rapporto con questa band è stato lo stesso , teoricamente, che hai con la donna della tua vita. Quel rapporto che ti folgora al'inizio, che ti strazia di passione, che ti fa gioire e che ti fa soffrire ti travolge e ti rende insano nei modi e nei comportamenti e che ti libera da ogni inibizione. Quando incontri la donna della tua vita e ci stai assieme per anni e sai che ci dovrai invecchiare insieme, sei contento malgrado i segni sul viso lasciati dal tempo e qualche chilo di troppo nei punti giusti. No, non sarà ci certo questo a fartela amare di meno. Una passione quella metaforicamente sopra descritta che mi lega da ben 20anni alla rock band che mi ha folgorato con il suo esordio esplosivo e con l'immediato seguito. Il trittico iniziale – Gonna see my Friend-Got some- the Fixer-non lascia dubbi sull'energia presente nella band, malgrado i temi siano cambiati. Nessuna condotta socio- politica su cui inveire ( forse perchè ora c'è Obahma e non più Bush ). Piuttosto temi toccanti come l'amicizia, le relazioni di tutti i giorni e la morte e l'amore che si contendono il ruolo di prim'attori ( provate a leggere il testo di The End, qualcosa che fà rabbrividire solo a leggerlo-immaginate cantato dal vivo con 30 mila accendini che vi fanno da cornice-). Le ballate presenti nel disco – Just breathe e The End appunto-, come molti hanno compreso, sembrano uscite dai Bside del lavoro solista Into the Wild, ma va bene così. Ho apprezzato quel lavoro come potrei esserne distante. Poi alcuni mid tempo cari ai Pearl JamAmongst the Waves e Unthought Known ( che dall'incipit ci rimanda a Wishlist di Yeldiana memoria ). Supersonic trae in inganno gli amanti dei Ramones ma anche per un inizio simile a a Spin the black Circle, forse questo brano insieme alla seguente Speed of Sound è l'unica nota dolente palese del disco che per fortuna ci regala ancora un brano come Force of Nature che sarà difficile nei concerti non conivolga i presenti. Non sarà quindi un disco sotto stimato a farmeli amare di meno. Sarà perchè al cuore non si comanda, nemmeno se poi ti accorgi che potevano fare di più. Ad ogni modo il cd gira nei miei lettori da una settimana o poco più e penso sempre che non sia nulla di trascendentale. Nessun colpo di coda , ma genuino quanto basta a renderlo piacevole nell'ascolto. Buon ascolto.
Giamp

lunedì 28 settembre 2009

THE ALMIGHTY DEFENDERS - (ST)
Sembrava essersi chetata la sfornata di grande musica del 2009 e invece le belle uscite continuano a proliferare; in questo caso però è davvero un’ottima uscita. Si tratta della prima degli Almighty Defenders, statunitensi della California. La prima cosa che mi fanno venire in mente sono i Megapuss di Banhart, sia per il fatto di aver unito le forze di progetti diversi (questo comprende i Black Lips, King Khan e Mark Sultan) sia per le sonorità presenti nell’album soventi tendente al cazzeggio. Ma la maestria messa in campo dagli Almighty li mette un paio di gradini sopra ai Megapuss, perché dalle canzoni viene fuori un’anima nera primordiale che non si scorge granchè nella band di Banhart. Si prendano ad esempio i rockabilly gospel dell’iniziale All My Loving e di She came Before Me (chissà di cosa parla il testo … mmm … ). La successiva The Ghost With The Most che sembra uscita dalle Iene di Tarantino; la distorta e beatelsiana Bow Down And Die seguita da una Jihad Blues … da pupille dilatate … C’è il fantasma di Isaac Hayes che aleggia in I’m Coming Home. E la conclusiva preghiera The Great Defender assolutamente indicata per il giorno del giudizio universale: 5 minuti di pura estasi psichedelica. In definitiva un più che lusinghiero esordio, nel quale Jon Spencer (quello con la Blues Explosion in coda) incontra James Brown nel tentativo (ancora una volta) di sradicare il blues, il soul e il funky dal terreno, per rimpiantarli con innesti di ottimo peyote. Un viaggio … anzi un trip. Se ne esce disturbati e soddisfatti.
Gianni Ragno

venerdì 25 settembre 2009

TALKING HEADS - Remain in Light
Una volta (ancora) nella mia vita!!!!
(omaggio a Roberto)

Domenica. Resto per un istante a fissare la parete al di sopra della postazione domestica dove alberga il mio PC , fonte inesauribile di pensieri, musica e quant’altro. Mi accorgo che le 4 maschere al di sopra ( si, di quelle maschere che in estate si vedono sulle bancherelle di tanti venditori sul lungomare ) somigliano molto alle 4 facce mascherate della copertina di Remain in Light, pietra miliare oltre che per gli annali di musica, per chissà quanta gente e non ultima per il sottoscritto Pietra miliare appunto sin dalla copertina, che non fu indiscutibilmente una scelta casuale, ma uno studio ben preciso. Oggi con la scienza tecnologica a disposizione anche un bambino di 5 anni riuscirebbe a realizzare qualcosa del genere, ma all’epoca ( parliamo del 1980) solo grandi photo-designer o art-designer affermati potevano azzardare tanto. Di fatti la copertina, che per un disco è l’immagine chiave in grado di trasmetterne la grandezza ed il contenuto, doveva essere studiata nei particolari. E così fu per Remain in Light. Impatto decisivo : quattro cyber-stregoni africani che ti fissano. In grado ognuno di regalarti sguardi incazzati, tenebrosi o dolci sorrisi. Il retro della copertina poi, ancor di più lascia confusi.
Uno stormo di caccia americani . Cinque di essi scompariranno poco dopo essere stati ritratti in quella foto , nel famigerato Triangolo delle Bermuda. A dir poco inquietante. Così come lo sono i suoni del quasi 30enne disco a marchio Talking Heads, i quali già forti dei lavori precedenti, sciorinano una gran genialità che li porta con questo disco, ma in particolare con il brano Once in a Lifetime, a ricoprire la cattedra di predicatori Funk in chiave post-industriale. Un suono quello custodito al suo interno, che ritrae le nevrosi occidentali, e la primordialità tribale. Uno scrigno inespugnabile ricolmo di sonorità variegate orientate al futuro. Una espressione delle percussioni e delle chitarre che delinea un nuovo modo ( già assaporato con l’ottimo Fear of Music – per me un gradino sopra ) di concepire il funk. Orientato al futuro. Qualcosa che può far sbavare i Red Hot Chili Peppers dei vecchi tempi, o ancora i precursori di una certa House e gli amanti di un certo filone Rap. E poi quella voce da predicatore del terzo millennio non può che impreziosire. Per alcuni brani le parole scorrono veloci, senza un senso ben definito. Una sorta di “glossolalia” che porta Byrne a declamare quasi fosse posseduto da uno spirito malefico. In altri brani il cantato- che è quasi un parlato- si presenta funereo ed incute timore. Insomma mettiamola come ci pare, rimane questo disco un capolavoro nell’accezione più elevata che si possa concepire. Dopo l’ascolto ci si ritrova nudi e sudati, con il fiato in gola e la voglia di ballo tribale ci pervade portandoci per le strade della nostra città in cerca di quei segni di primitività che la vita d’ufficio ci ha nascosto per anni, lasciandoci una riflessione scontata ma quanto mai giusta : “Dove siamo finiti per colpa del progresso???" Ma si sa domani sviliti e con la compostezza di sempre, crudelmente riprenderemo ancora una volta la nostra vita lavorativa.
Buon ascolto.
Giamp

Ricordi di Gioventù
(un augurio per un romantico week-end)

Qualche giorno fa , io e mio marito abbiamo festeggiato 10 anni di matrimonio e mi sono tornate alla mente le nostre serate da fidanzati, quando ci incontravamo a casa sua e dopo che lo avevo stracciato al Trivial o a Mastermind, o peggio, dopo che lui aveva stracciato me ( lo ammetto non so perdere ! ), per stemperare la delusione da sconfitta, lui apriva la vetrina in cui teneva lo stereo e metteva su il cd dei CAKEFASHION NUGGET “ ed in particolare la canzone Perhaps, Perhaps, Perhaps e mi invitava a ballare…
Elvira

giovedì 24 settembre 2009

PEARL JAM - bACKsPACER
(preliminari di recensione)
Qual è stato l’ultimo album veramente bello dei Pearl Jam? Non ho dubbi: la colonna sonora Into The Wild! … ops! … Beh un peccato davvero che quell’album non sia uscito a loro nome. Ormai è diventato appuntamento fisso per me, anticipare l’uscita del nuovo album della band famosa di turno, con il chiedermi come si fa dopo tanti anni di carriera a trovare nuovi spunti, nuove idee, nuovi modi fare musica senza scadere nel patetico e nello scontato?! La mente corre veloce al parallelo con gli U2. Ma i Pearl Jam sono qualitativamente e in tutta onestà un gradino sopra gli U2. Potevano ripetere Ten e invece hanno fatto un incazzatissimo Versus. Gli scazzi con Cobain e la sua successiva morte (in una recente intervista Vedder rimpiange di non essere riuscito a chiarirsi con il frontman dei Nirvana); il quasi scioglimento della band, la malattia di Mcready, e poi Vitalogy pregno com’era fino al midollo degli umori del momento, aspro e spigoloso e così grande nel risultato (per me resta il migliore). Il tentativo di ripresa e di non farsi catalogare come “quelli di Ten” facendo uscire un controverso No Code. Poi sprazzi qua e la di buona vena in alcune tracce di Yeld, un quasi passabile Binaural, il colpo di coda di Riot Act, politico e intimo (Bush e i ragazzi morti nel concerto di Roskilde) e finalmente si torna a colpire allo stomaco. Il penultimo e omonimo capitolo, ribattezzato Avocado, ci restituisce una band matura, consapevole dei propri mezzi tecnici che si diverte e fa divertire ai loro concerti (l’unica band che a ogni serata cambia 10-15 canzoni della setlist, senza peraltro dimenticare l’omaggio ai propri mentori, che si chiamino Who, Ramones, Beatles), ma che non lascia intravedere scenari di possibili cambiamenti artistici. Ma, sinceramente, non so a quanti di tutti noi, fanatici della band, alla fin fine, interesserebbe davvero uno stravolgimento della messa in scena. In mezzo a tutto questo non dimentichiamo Mirror Ball con Neil Young, le collaborazioni di Vedder con Nusrat Fateh Ali Khan , le colonne sonore, i progetti paralleli dei singoli componenti con altrettante band, l’immancabile quanto dovuto appoggio ad associazioni umanitarie e il doppio cd acustico dal vivo e chissà quanto altro ancora al momento il cervello si rifiuta di suggerirmi. I 36 minuti del nuovo album, Backspacer si possono riassumere così: i pezzi più duri nel classico rock/punk/grunge (il trittico iniziale e Supersonic); quelli mid tempo con qualche spruzzata di anni ’80 e più radiofonici (su tutti Force of Nature) e le 2 ballate che sono anche le più belle dell’intero lavoro, Just Breathe e The End, con un sempre più evocativo Vedder: due canzoni figlie illegittime quanto naturali di Into the Wild … appunto, e tirate fuori al momento giusto, che valgono il prezzo del cd. Nulla di stravolgente ma a me vanno ancora bene così … amongst the waves.
Gianni Ragno

martedì 22 settembre 2009


U2 - 22 settembre: calma piatta

Davvero a volte basta poco per schiarirsi le idee. E' evidente che quello che pensavo e che ho riportato in una riflessione pre-album non era solo una mia fissazione sui cambiamenti a cui avrebbero potuto andare incontro gli U2 per rinfrescare la loro immagine (ormai) stantìa quasi quanto la loro musica stagnante. Così ho trovato che anche Bob Lefsetz, (grazie a cabal) nel suo report settimanale delle vendite degli album USA, (così come probabilmente altre decine di [ex]fans) viaggia sulla mia stessa lunghezza d'onda e non le manda a dire sullo stato delle cose dei dubliners.
(prossimamente alla gogna i Pearl Jam nda)

"Nessuno degli U2 ha sentito cambiare il vento. La loro unica speranza era di cercare una via underground, fare in modo che comprare il loro fosse qualcosa di figo, che il passaparola si diffondesse naturalmente. Mi piace l'album, è meglio dei due precedenti, ma non ne posso parlare con nessuno. C'è un immenso fetore appiccicato a No Line on the Horizon.E' ora che gli U2 facciano una bravata, un'acrobazia. Distribuite un concerto gratis su Internet. Lasciate perdere il Saturday Night Live e fate uno show live su YouTube. Siate i primi in qualcosa, fate in modo che la gente si volti verso di voi. Smettetela di essere disperati e iniziate a essere innovativi. Suonate un house concert in ogni città in cui fa tappa il tour negli stadi. Salite sul palco con strumenti acustici e implorate il pubblico di registrarvi e caricare i video sul Web. Aprite a sorpresa un concerto di Kenny Chesney. Della Dave Matthews Band. O persino dei Jonas Brothers. Siate irriverenti. Sconvolgeteci. Costringeteci a occuparci di nuovo di voi".
... viene spontaneo quindi chiedersi ... how long we'll sing this song ...

lunedì 21 settembre 2009

THE MUSE - English style,
ITALIC - figuraccia style.

(VIA indie-rock.it)
Dopo l'ascolto di 'The Resistance' la nostra personale considerazione dei Muse era scesa ai minimi storici, per svariati motivi che vi spiegheremo nella recensione che uscirà tra non molto. Oggi, però, i ragazzi hanno cominciato a risalire la china, con un simpatico scherzetto durante l'apparizione a 'Quelli Che...', che potete vedere qui.La band inglese era negli studi RAI per presentare il nuovo singolo 'Uprising'. Come di consueto, nelle trasmissioni televisive nostrane è abolito il concetto di 'musica dal vivo', così il terzetto di Teignmouth ha pensato di approcciare il playback invertendo i ruoli.Il cantante e chitarrista Matt Bellamy è andato alla batteria, il bassista Chris Wolstenholme alla testiera e alla chitarra, il batterista Dominic Howard si è improvvisato bassista nonché vocalist. Il risultato è stato a dir poco esilarante.Ancor di più quando Simona Ventura, che ovviamente non si è accorta di nulla nonostante avesse già ospitato il gruppo in una propria trasmissione in passato, e che ha cominciato a intervistare Dominic come se fosse il leader della band. Alla domanda: "Chi di voi è fidanzato con una psicologa italiana?", Dominic ha risposto: "Il nostro batterista", senza che l'ineffabile conduttrice facesse una piega.Ora, non abbiamo l'intento insegnare il mestiere alla Ventura, ma consideriamo che se i conduttori di trasmissioni televisive nostrane si documentassero qualche volta (basterebbe un click su Wikipedia) sugli ospiti che hanno in studio, la qualità dell'offerta catodica nel nostro Paese ne guadagnerebbe, si eviterebbero brutte figure, e magari ci verrebbero risparmiate domande amene del tipo: "Ma è più grande la villa sul lago di Como di George Clooney o quella del vostro batterista?"

venerdì 18 settembre 2009

Alla ricerca dell’anima perduta!!!!

... Giamp dixit ...
L’anima, da qualunque punto la si consideri, altro non è che la nostra parte più profonda. Ma se noi siamo soliti vivere a livelli più superficiali la nostra esistenza, potremmo anche ignorarla o dimenticarla. Del resto, anche chi sia ben consapevole della sua esistenza, non può mai dire di averla interamente conosciuta, esplorata, compresa. Pagine si dovrebbero e potrebbero scrivere per tentare di spiegare tutto quanto regola la ricerca dell’anima. Tante altre sono state già scritte nel provare a farlo. Diciamo che per trovarla bisogna attraversare la Terra di Nessuno, vale a dire ciò che sta oltre la dimensione immediata e ben nota all’esistenza; e che al tempo stesso, sta al di qua della dimensione ulteriore, cioè della dimensione vera, quella al di fuori dell’esistenza stessa. Anche nella filmografia tale argomento è stato più volte affrontato. A tal proposito vi consiglio 21 Grammi - il peso dell’anima- con S. Penn, B. Del Toro ( regia Alejandro González Iñárritu ) , ed ancora Dead Man ( regia J. Jarmush ) con J. Depp . Per rendere più semplice il concetto, la Terra di Nessuno si trova fra il nostro io ordinario- quello che ama, odia, che desidera, che teme, che prende che lascia e in cui dimora l’Essere , residenza , quest’ultima, dei falsi desideri e dei falsi timori, delle ingannevoli aspettative e delle paure infondate, popolata dalla folla turbata e solitaria che, ubriacandosi di rumori e azioni cerca la propria nostalgia primitiva. Di primo acchito il titolo e quanto detto sopra potrebbe sembrare strampalato e fuori luogo, ma se non altro una domanda sorge istintiva. Occorre davvero andare alla ricerca di qualcosa che già possediamo? Può una concezione Dualistico-Platonica,( e con essa la cultura giudaico- cristiana da cui proveniamo ed in cui viviamo) , sostenuta poi dal concetto filosofico del cristianesimo, che vede l’anima come qualcosa separato dal corpo e che riceverà un premio per la condotta morale in vita , imporre regole di come vivere la ricerca della propria terra di nessuno, del proprio essere e di seguito della propria anima? Ragionandoci sopra una analisi su questo argomento richiederebbe, come dicevamo, molte, ma molte più pagine e un paradosso emerge. Il paradosso della situazione sta nel fatto che rimanere presso le terre ben note( cioè all’interno di condotte di vita scontate ), vuol dire continuare ad ignorare la nostra stessa anima; mentre porsi all'avventura ( rischiando l’ira della pubblica opinione ), senza alcuna garanzia di successo, significa compiere il movimento decisivo per la reintegrazione di noi stessi. Pertanto, attaccarsi alle proprie timide sicurezze, equivale a perdersi; mettersi a repentaglio, a ritrovarsi. Lo so questo discorso sta prendendo una piega molto intimista, ma mi è sorta nel momento in cui riflettevo su un discorso fatto mangiando una pizza con due splendide persone ed i loro figli in una sera ( fresca e ventosa ) d’estate. Per concludere direi di goderci questo brano dei Wintersleep - Weighty Ghost –il quale lascia ben pochi dubbi sul da farsi, e abbandonarsi nell’ esplorazione della parte più remota di se stessi alla ricerca di un qualche scintillio verso quella terra di nessuno che è luogo di ritrovo per la nostra anima. Chi ha orecchie per intendere intenda…

... Elvira dixit ...
La verità è che finchè saremo prigionieri di qualsiasi tipo di cultura religiosa, la nostra anima non potrà mai emergere, perché sarà imbrigliata dalle convenzioni sociali, e ciò che sarà giusto per il singolo a livello personale, ma non per tutti a livello sociale, dovrà essere perseguito a proprie spese, guadagnandone in felicità per essere riusciti a seguire la propria anima, ma pagandone lo scotto a livello sociale. Non parlo di interessi economici privati, i quali forse oggi come oggi, non suscitano più tanto scalpore, ma mi riferisco a scelte di vita che è facile commentare in una sera d’estate intorno a una pizza. La nostra anima per essere nutrita ha bisogno di spiritualità e io credo che, fermo restando quali siano i propri confini e quelli degli altri per il buon vivere civile, ognuno ha il diritto di cercarla come e dove meglio crede, non necessariamente in una chiesa o in una moschea, arroccandosi su certi principi e lasciando fuori il resto. La vita è una e va vissuta nel rispetto di se stessi e di ciò che la nostra anima ci chiede… VIVERE è difficile!

giovedì 17 settembre 2009

MUSE - The Resistance - download

Leggendo un'intervista di qualche giorno fa a Matt Bellamy, mi sono fatto due risate: si è dichiarato seriamente preoccupato perchè, parole sue, "Ho letto da qualche parte che nel giro di sette giorni il Regno Unito rimarrà senza petrolio. Altri sette giorni e saremo senza cibo". dopodichè pare sia andato addirittura a far scorta di fagioli al supermercato. Le paranoie del cantante dei Muse erano già note, ma ora sembra stia peggiorando...o forse siamo noi che viviamo all'oscuro di tutto, chissà. Di una cosa certamente non sono all'oscuro e ora neanche voi: su museresistance.com è possibile scaricare l'intero nuovo album "The Resistance", senza sganciare un centesimo. Del resto se tra un paio di settimane non ci sarà più cibo, perchè uno dovrebbe comprarsi un cd? E pensare che la data di Milano dei Muse è già sold out, poveri illusi!

mercoledì 16 settembre 2009

ARCTIC MONKEYS - Humbug

Leggendo in giro per la rete molte sono le considerazioni riguardo l’ultimo lavoro degli Arctic Monkeys. Quella che mi ha colpito resta la considerazione di un giornale britannico.
Ovviamente io mi dissocio da quanto asserito dal più noto Tabloid britannico - The Sun - il quale sostiene che il terzo lavoro a firma Turner e soci- alias Arctic Monkeys-, sia quanto di più deludente mai prodotto dalla band, la quale passava agli onori grazie alle doti di freschezza, gioia e arguzia dei precedenti due album. Indubbiamente ogni qualvolta una band arriva al secondo o terzo lavoro chissà perché le critiche vengono elergite copiose. Sarà per le collaborazioni che a me stanno tanto a cuore con J. Homme dei QueenOfTheStoneAge, il quale nel lavoro di produzione ha impresso quella giusta nota di acidità desertificata a lui e a noi tanto cara. Lo si sente da come basso e batteria impongono la ritmica ancor prima dei riff di chitarra e dai coretti da lui stesso interpretati. Sarà anche per la scelta di non virare verso paradisi elettronici, come la maggior parte delle indie-bands ha già fatto, sia stata la cosa più intelligente seppure rischiosa delle Scimmie Artiche. E sarà anche per scelta del titolo - Humbug- ; possiamo immaginare che l’anima dura che lo caratterizza racchiuda però una freschezza al suo interno (di fatti le hum-bug sono una caramella alla menta particolare) o dovremmo presupporre che il lavoro altro non è che un lavoro imbroglione e disonesto atto ad accaparrarsi fette di pubblico (altra traduzione per humbug) e fraudolentemente disco della maturità artistica e dalle influenze psichedeliche invece che della transizione coraggioso ed audace. Cosa dirvi. Per me una svolta ottima con 10 brani compatti che non deludono ma che magari vanno ascoltati più di una volta prima di venire trasportati su una spiaggia irreale
(Americana) mangiando peyote e bevendo mescal (a me l’ultimo sorso)!!! Dissociarsi non è reato!!! Buon ascolto.
Giamp

venerdì 11 settembre 2009

THE TEMPER TRAP - Conditions

Così di primo impatto resto folgorato non tanto dalla originalità, perché si sa oggi resta elemento in discussione, ma la folgorazione mi prende quando in una fine estate così profumata e malinconica nel tentativo di godere degli ultimi bagliori che solo la stagione estiva sa regalare, ascolto questa miscela di suoni e parole che mi riporta a U2 dei tempi che furono conditi in salsa Coldplay ed innaffiato da ottimi vini come Radiohead d’annata .
E per dessert non può che esserci un rimando ai Cure co n bollicine dolci TV On The Radio d.o.c.g. Godibilissimo il loro lavoro risalente agli inizi di un sempre più promettente 2009, “ Conditions”. Ottima promessa della terra d’Australia. Giamp.

mercoledì 9 settembre 2009

DAN AUERBACH :
@ Live In Session On KCRW @
Non proprio una memorabilia, certo, più semplicemente il completamento dell'omaggio al grande Dan Auerbach (non è che dobbiamo aspettare per forza la sua dipartita per ricordarlo). Un breve concerto radiofonico come se ne fanno negli Stati Uniti per promuovere un nuovo album. La session è stata tenuta presso la famosa radio KCRW che di certo vanta poca arroganza e non punta il dito contro chi ascolta musica per una presunta mancanza di cultura. Un vecchio adagio recita: chi sa fa, chi non fa insegna. (purtroppo nda). Enjoy!


tracklist:
01.(=Intro=) - 02.Mean Monsoon - 03.My Last Mistake - 04.Money & Trouble - 05.Prowl - 07.I Want Some More - 08.Real Desire - 09.Streetwalking - 10.Keep it Hid - 12.When the Night Comes - 13.(=Outro=)

martedì 8 settembre 2009

San Auerbach prega per noi
Che hai qualche probblema !!??!!!
Eh si , quasi ci rimettevo il mio nasone e l'onore davanti alla mia famiglia. Circolavo per il litorale viestano, obiettivo: spiaggia di Portonuovo. Mi permetto di smanacciare l'individuo che a bordo della sua bella BMW mi sorpassa in curva rischiado di buttare me e le due bici che mi precedevano, fuori strada. Non l'avessi mai fatto!!! Il tizio si ferma poco sopra. Mi affianca a piedi. Mi prende per cravattino (ahi, i peli del torace!!) e mi dice: "Che tijne qualcche ppvobblem??? Ed io , no, problemi non ne ho , ma se evitassimo di farci del male , magari.....
E lui: si f'urtnet che tin a figghjete ddret....."
E va via. Lasciando un senso di amarezza che ancora non digerisco. E allora provo a consolarlo con il testo di Dan Auerbach, chissà , magari pensando a problemi come quelli citati nel testo, dimentico e digerisco!!!!
Giamp.
p.s. le doppie non sono da considerarsi errori. e che il tipo proprio le usava in abbondanza, come del resto qualche sostanza dal vago sentore illegale.....

Dan Auerbach - Trouble Weighs a Ton
What's wrong, dear brother? Have you lost your faith?
Don't you remember a better place?
Needles and things, done you in
Like the setting sun
Oh, dear brother, trouble weighs a ton
What's wrong, dear sister? Did your world fall down?
Men misuse you and push you around
Same story dear, year after year
Faith will run
Oh, dear sister, trouble weighs a ton
Trouble in the air
Trouble all I see
Does anybody care
Trouble killin' me
Whoa, it's killin' me
What's wrong, dear mother? Has your child disobeyed?
Left you hurtin' in so many ways
What once was sweet, the sorrow and greet
Cannot be undone
Oh, dear mother, trouble weighs a ton
Oh, dear mother, trouble weighs a ton



giovedì 3 settembre 2009

QUELLO CHE LE RADIO NON DICONO
- playlist di Settembre -


Per farmi perdonare la mancata playlist di Agosto, ho inserito quattordici succosi brani, tutti scaricati in maniera dannatamente gratuita (mi stanno togliendo un po' il brivido di avere la RIAA alle costole....scherzavo), plus il nuovo video del leader degli Interpol, Julian Plenti, Games For Days.
Enjoy!






martedì 1 settembre 2009

DAN AUERBACH - Keep It Hid
(Bagno di fine estate nel Mississipi)
Il dubbio è di rigore…. Intendo dire: sarebbe riuscito Dan Auerbach nell’intento di coniugare amore e sofferenza, ingredienti indispensabili per un album blues che si rispetti?
Basterebbero scale blues, una manciata di accordi, una chitarra malconcia, il lento incedere dei polpastrelli sulle corde arrugginite di una chitarra per risolvere l’annoso problema? Può da solo il chitarrista e cantante del duo Black Keys - come nella miglior tradizione musicale - riuscire nell’intento di discostarsi dai lavori fatti in precedenza e superarsi se non almeno uguagliarsi nell’intento? Direi proprio di si. L’ascolto di Keep It Hid fuga ogni dubbio e ad una valutazione oggettiva troviamo che le composizioni sono davvero quanto di più blues abbiamo ascoltato nell’ultimo periodo. Sembra lontana la rabbia di Trickfreakness o l’assemblaggio ritmico di Attack and Release. Spolvera nell’ancestrale, nei campi di cotone, nella terra rossa d’Africa e sviluppa sonorità degne dei migliori bluesman. Muddy Waters, Robert Jonhson, BB King, Eric Clapton ( Cream ), Led Zeppelin o ancora a quanto di acustico abbia saputo regalarci il Boss negli anni, prima di appesantirsi ulteriormente con con la E- Street Band-. Scatena la sua visceralità. Amore e sofferenza, così come nella tradizione, qui l’anima del blues traduce la vita di ogni essere umano. Non lasciatevi confondere da canzoni apparentemente spensierate, Keep It Hid è davvero la quintessenza del blues a marchio Dan Auerbach. Il miglior ascolto della categoria per questa estate 2009. Buon ascolto.
Giamp
TUTTO A POSTO E NIENTE IN ORDINE
Arieccoci. Un post per rimetterci in moto. E ci voleva una bella scossa. Questa Fell In Love With a Girl dei White Stripes, considerato da Pitchfork, (che ha pubblicato da poco una classifica di 50 canzoni) il miglior video del decennio. Scelta discutibile, come sempre, ma musicalmente mi serviva una scossa per ripartire con il lavoro e la canzone in questione fa in pieno il suo dovere.