venerdì 27 febbraio 2009

INTO THE WILD E. Vedder/ S. Penn
Pensate cosa sarebbero la gran parte dei film visti senza una adeguata colonna sonora, senza dei brani che li rendano ancora più vividi nella vostra mente e che ne mettano in risalto i momenti fondamentali.
Oggi vi racconto proprio di un film in cui i brani sono, non di complemento, ma complici-artefici nel risaltare la bellezza del film stesso.
Punto d’incontro del film: la società in cui viviamo; sempre più a rischio nei suoi valori (denuncia che tra l’altro non arriva solo da questo film).
Il disco di per sé non ha valore assoluto - forse non dovremmo nemmeno archiviarlo tra i lavori singoli a nome Eddie Vedder - ma ascoltato dopo aver visto il film non lascia dubbi sulla genuinità del lavoro fatto dal cantante dei Pearl Jam.
Difficile d’altro canto, disinteressarsi del film per parlare del disco.
Le immagini e i suoni viaggiano parallelamente, scavano nell’anima di ognuno di noi, o almeno nell’anima di coloro i quali hanno, seppure per un istante, hanno pensato di riconquistare la loro libertà originale.
In quanto alla storia descritta … beh un film che si prefigge di descrivere alcuni episodi di vita di una persona (Christopher McCandless) a distanza di tempo dall’accaduto ( storia risalente al 1992 ma raccontata da un romanzo di Jon Krakauken nel 1996 ), deve saper provocare emozioni reali, dato che di un fatto reale si tratta. E qui ragazzi suggestioni ce ne sono a bizzeffe!
Mettiamo che uno di voi decida ad un tratto della sua giovane vita, di mollare tutto e girare per il mondo in cerca della propria libertà (che parolone di questi tempi !!!), in cerca di se stesso e in questo suo girovagare si valorizzi ed arricchisca chi lo incontra.
Mettiamo anche che nel far perdere definitivamente le proprie tracce al cosiddetto mondo civilizzato (capro espiatorio almeno per il personaggio in questione), e nel tentativo di incontrare la natura più selvaggia ci si riscopra solo, provato, spaventato ma felice (in parte dato che scopre quanto la felicità sia bella se condivisa leggendo Tolstoj).
Mettiamo che alla fine ….beh la fine non ve la racconto tanto per stuzzicarvi ad andare a vederlo.
Quello che conta è che, se intendete vederlo, sappiate che le emozioni viaggiano su due piani.
Uno descrive le sensazioni di gioia, rabbia e paura del protagonista. L’altro (quello raccontato da una voce narrante) mette in evidenza la sofferenza di una sorella che non avendo avuto l’occasione di salutare suo fratello prima di partire, descrive cosa succede nella famiglia del protagonista stesso nel momento in cui ….beh anche questo non ve lo anticipo altrimenti che gusto c’è ad andare ad vederlo!!!
La musica invece si fonda su sonorità tanto care a Vedder, chitarre, voce penetrante, strumenti semplici come un organetto , un banjo o un ukulele - tanto quanto il suo cantato, coinvolgente e capace di toccare tutte le tonalità tipiche in grado di passare dalle orecchie alle vene in un batter d’occhio. Scava nella storia musicale americana, canti Sciamanici, Dylan, Young ( Neil ).
Viscerale , ma come viscerale è la storia che ci racconta S. Penn.
Società in cui non ci si riconosce , globalizzazione ma anche dissidi interiori ed aspettative di vita disattese. Società che impazzisce e speranza di vivere felice da solo.
Un disco cantato in fondo con semplicità perché è di questo che il film aveva bisogno. Un film raccontato con colori naturali, brillanti fotografie di un mondo senza macchia, incontaminato (wild sta per selvaggio).
Sean Penn ci ha abituati a momenti di interiorità non conforme negli ultimi lavori.
Di Vedder cosa dire , da sempre promotore di movimenti No Global, da sempre in contrasto con quella società americana, e non solo, priva di valori e fondata sulla ricchezza, sull’arroganza e su quant’altro vi venga in mente per descriverla.
Giamp

“Se quello che hai ti sembra poco e vuoi avere molto di più di quello di cui tu hai bisogno…..Società abbi pietà di me se io non sarò in accordo con te". (Society)


mercoledì 25 febbraio 2009

ORFANI DI INDIES
Prima o poi doveva accadere. Il protrarsi oltre ogni tempo del mancato aggiornamento di uno dei blog radio più famosi del mondo, INDIES appunto, sta provocando le reazioni più disparate e incredibili. Le notizie che danno per imminente il ritorno dei brothers Indies, poi, non fa altro che aumentare questo malessere collettivo. L'esempio più eclatante viene da un aeroporto giapponese, dove una donna ha inscenato una vera e propria protesta per il disagio che le stanno arrecando.

venerdì 20 febbraio 2009

GREAT BALLS ON FIRE

Prima di ascoltare il nuovo lavoro di Chris Cornell, Scream, ho guardato la foto della copertina del cd e ho pensato "Chissà, tradotto in musica, cosa intende rompere, Cornell, con la sua chitarra? Sarà un disco di rottura mmm ...col passato più remoto dei Soundgarden o più recente con gli Audioslave? Sarà un disco di rottura mmm ... con chi lo voleva ormai finito e incapace di rigenerarsi come una cartuccia di toner?" Ebbene, la risposta è arrivata inesorabile dopo il primo, unico e più che sufficiente ascolto di Scream, ovvero l'album non è nè più nè meno che una grossa rottura di palle! Lui ci salta sopra a piè pari con gli anfibi e colpisce duro con l'unica chitarra che gli è rimasta, ovvero quella che gli regalarono i genitori per la sua Prima Comunione. Consoliamoci con Hunger Strike, nei tempi in cui mi faceva tremare i polsi con i Temple Of The Dog!

Temple of the Dog - Hunger Strike


giovedì 19 febbraio 2009

TESTA DI GENIO VA SULLA LUNA


Si diverte davvero tanto David Byrne in queso periodo. Ha trovato la maniera di non ripetere i Talking Heads e non ripetersi con i suoni della world music. Cerca di continuo nuove cose e lo cercano per renderlo partecipe della musica attuale. Dopo The BPA _Toe Jam, continua la sua collaborazione con le realtà funky-elettro-hiphop del momento. Questa volta ha prestato i suoi servigi ai N.A.S.A. in due canzoni presenti nel nuovo lavoro intitolato The Spirit Of Apollo.
Oltre alla partecipazione di Byrne i N.A.S.A. hanno ospitato una vagonata di nomi eccellenti quali Tom Waits e George Clinton.





The People Tree (feat. David Byrne, Chali 2na, Gift of Gab, & Z-Trip


venerdì 13 febbraio 2009

ZIGGY REMIXTARDUST
Oh my God! Guarda come come t'hanno conciato Duca Bianco!!. Beh dai, un restyling ogni tanto non fa male, un bel lifting musicale. In generale non stravedo per l'elettronica e mix vari, ma ammetto che in giro c'è parecchia roba interessante, come i mash-up, la tecnica che unisce brani di canzoni differenti. Stavolta hanno ritoccato un capitolo intero della storia del rock, Ziggy Stardust appunto ed è un bel sentire. Tutte le canzoni del disco sono state o mixate o "mesciate" con Deep Purple, Jay-Z, Bob Marley, MGMT, The Supremes. Non lasciatevi sfuggire l'occasione anche perchè il tutto è totalmente e gratuitamente scaricabile da questo SITO.

DAVID BOWIE - Ziggy Stardust ...l'originale

lunedì 9 febbraio 2009

ANTONY AND THE JOHNSONS - Epilepsy Is Dancing

Inversamente proporzionale alle sue noiosissime canzoni, Antony, e chi per lui/lei, ha fatto uscire un bellissimo video che non sfigurerebbe nel film di Kubrick, Eyes Wide Shut.

sabato 7 febbraio 2009

JOHN FRUSCIANTE - The Empyrean



Nemmeno il tempo di parlare male della latitanza delle uscite a stelle e strisce (vedi recensione sui Franz Ferdinand che forse un giorno leggerete sul blog di Indies), che ecco venir fuori un bel dischetto dalla mente e dalla chitarra capace di John Frusciante, meglio conosciuto come lead guitar dei Red Hot Chili Peppers. A dire il vero mi si sono drizzati i peli delle braccia (il cui numero supera di poco i miei residuali capelli), quando agli occhi mi è balzata la durata di molti dei brani di Empyrean: chi porta 6 minuti, chi 7 chi 8 e addirittura il brano d’apertura di ben 9 minuti e 9 secondi. E non andava meglio dopo l’ascolto del brano iniziale, una lunga suite strumentale che va dall’interessante al palloso passando per il quasi-quasi-getto-la-spugna. Poi la cover di Song For The Sirens di Tim Buckley, ha resuscitato in me un certo interesse, ma ancora non era riuscito nell’intento di farmi schiodare dalla sedia. Decido di non cedere e accettare la sfida e così, al terzo brano vengo ben ripagato da Unreachable, una ballatona suonata e cantata con desiderio blues con tanto di meraviglia di assolo chitarristico, e in sottofondo un hammond che aggiunge tonalità più melodiose, ammorbidendo il brano. Volendo azzardare un paragone (lo azzardo eh!, Antonino non t’incazzare!), ci sono molti rimandi ai Pink Floyd e ai primi Genesis, soprattutto nei brani più lunghi. Come da lui stesso affermato The Empyrean è molta psichedelico perché è frutto dei suoi ascolti degli ultimi 2 anni (il disco è materiale inciso tra il 2006 e il 2008), che poi ha tradotto in musica realizzando il cd in questione. Va detto che non è il suo primo tentativo da solista, ma il nono, e consiglio altamente di recuperare Inside Of Emptiness del 2004, un ottimo disco di possente rock scritto e interpretato senza fronzoli, ancorché padre legittimo dell’ultimo TK WEBB & The Visions. Tornando invece a The Empyrean, credo che gli episodi da segnalare oltre che alla Unreachable di prima, sono Heaven, Enough Of Me, Central (con una cavalcata elettrica finale che vorresti continuasse in eterno), una drammatica One More Of Me suonata con i Sonus Quartet e la conclusiva After The Ending, eterea e sulfurea quanto basta per concludere degnamente il tutto. Lontano dai clamori e dagli sfarzi dei Red Hot Chili Peppers (Flea comunque suona nel disco), con l’ex Smiths Johnny Marr (prezzemolo indiscusso della scena rock mondiale), Frusciante riesce, anche questa volta, a dare un’altra angolazione delle sonorità rock, graffiando con la sua voce, e facendo uscire fuori la sua anima con assoli di chitarra che restano ben impressi nella memoria e la giusta dose di Hammond, donando grazia e volume a tutto l’album. Così come raccomandato sul suo Myspace, play it loud, of course!
Gianni Ragno

venerdì 6 febbraio 2009

Quello che le radio commerciali non dicono
Playlist di Febbraio


1. A PLACE TU BURY STRANGERS - To fix the gash in your head
2. CAT POWER - New York (Frank Sinatra cover)
3. DAVE MATTHEWS BAND - You might die trying
4. DEER TICK - These Old Shoes
5. HERE WE GO MAGIC - Tunnelvision
6. JOSE' GONZALES - Teardrop
7. LIAM FINN - Lead balloon
8. MATTHEW SWEET - Room to rock
9. MISTERY GIRLS - I took the poison
10. ROBERT FORSTER - Don't touch anything
11. ROKIA TRAORE - The man I love (Billie Holyday cover)
12. SPARKLEHORSE With THE FLAMING LIPS - Go
13. THE ANTLERS - Two

lunedì 2 febbraio 2009

U2 NO LINE ON THE HORIZON _ ANTEFATTO
(ANCORA) ARTISTI O SOLO MESTIERANTI?


Questa premessa al nuovo lavoro degli U2 che uscirà a marzo, credo, si rende doverosa. Sento di dover fare qualche riflessione prima, perché ne potrebbe condizionare la recensione dell’album. Innanzitutto è impossibile cominciare a parlare di Bono e soci senza scomodare il loro gloriosissimo passato. Sono stati la più grande rock band degli anni ’80 e per buona parte degli anni ’90, e forse, per alcuni aspetti lo sono tutt’ora. Unforgettable Fire e Joshua Tree li hanno portati praticamente a un passo dalla santificazione, ma per davvero, considerato che ai tempi di Joshua Tree c’era gente che andava a bussare alla porta di Bono per avere conforto spirituale. Poi, da Ratte and Hum, è stato un continuo cercare qualcosa di diverso, e in questo senso I Still Haven’t Found è stato profetico. Hanno conosciuto i grandi della musica americana, da Dylan a BB King ed Elvis. Poi hanno svoltato bruscamente verso l’Europa più fredda delle traband di Achtung Baby, forse l’ultimo capolavoro griffato U2. Fino ad arrivare agli ultimi e pluridiscussi All That You Can’t Leave Behind e How To Dismantle An Atomic Bomb. Non riuscivo a capire le ragioni di tanto accanimento al negativo, della maggior parte della critica mondiale. Poi, pensandoci un po’ su, sono giunto alla conclusione che gli U2 negli ultimi 10 anni di carriera avrebbero dovuto fare qualche scelta drastica, del tipo sciogliersi per un po’. Perché no? Non sarebbe stata affatto una cattiva idea. Come quella di partecipare a progetti paralleli (vedi i membri dei Pearl Jam che hanno una band alternativa per ogni componente), per far confluire, poi, nuove sonorità all’interno della band principale.
Sono sicuramente la rock band più famosa del mondo, che ha scritto le pagine della storia della musica, ma è evidente che le aspettative nei loro confronti sono sempre superiori alle loro attuali possibilità. Bisogna prenderli per quello che riescono a darci oggi, e non per quello che potrebbero dare basandoci sul loro passato. Ritengo infatti, che, benché gli ultimi due album non stravolgano nulla di quanto da loro già scritto e cantato, contengano in ognuno di essi quei 4-5 brani buoni da conservare nella memoria. Voglio dire, quante Next Big Thing ci sono in circolazione o che sono uscite negli anni addietro, e che sono rimaste tali? Una marea!
Ma un altro aspetto che io credo sia di fondamentale importanza, è quello della continua e ostinata ricerca di riproporre il binomio collaboratile con Brian Eno. Mi chiedo perche? Ormai anche lui ha dato…tantissimo certo, ma credo che quando entrino in sala d’incisione, gli U2 si aspettino di sentirsi dare gli stessi consigli di sempre e che, Brian Eno, dia a loro le stesse idee di sempre che forse non funzionano più tanto come una volta. L’età passa per tutti e la spinta innovativa che ha dato a gruppi come i Talking Heads e agli stessi U2 è probabile che sia giunta al capolinea. Prendete ad esempio anche l’ultimo dei Coldplay, che magari si aspettavano chissà cosa (e con loro anche noi esigenti fruitori di ottima musica). Sembra si riscontrino all’interno degli ultimi lavori prodotti da Eno gli stessi suoni e le stesse alchimie da 10 anni a questa parte. È ovvio che quanto detto fino ad ora, spero vivamente possa venire completamente ribaltato dall’album in uscita il 2 marzo. La porta della speranza di un grande album è sempre aperta, in me, vecchio (!?!?) e immarcescibile fan che prova ancora emozioni nell’ascoltare canzoni come A Sort Of Homecoming.
Gianni Ragno

U2 - GET ON YOUR BOOTS