PEARL JAM - bACKsPACER
(preliminari di recensione)
Qual è stato l’ultimo album veramente bello dei Pearl Jam? Non ho dubbi: la colonna sonora Into The Wild! … ops! … Beh un peccato davvero che quell’album non sia uscito a loro nome. Ormai è diventato appuntamento fisso per me, anticipare l’uscita del nuovo album della band famosa di turno, con il chiedermi come si fa dopo tanti anni di carriera a trovare nuovi spunti, nuove idee, nuovi modi fare musica senza scadere nel patetico e nello scontato?! La mente corre veloce al parallelo con gli U2. Ma i Pearl Jam sono qualitativamente e in tutta onestà un gradino sopra gli U2. Potevano ripetere Ten e invece hanno fatto un incazzatissimo Versus. Gli scazzi con Cobain e la sua successiva morte (in una recente intervista Vedder rimpiange di non essere riuscito a chiarirsi con il frontman dei Nirvana); il quasi scioglimento della band, la malattia di Mcready, e poi Vitalogy pregno com’era fino al midollo degli umori del momento, aspro e spigoloso e così grande nel risultato (per me resta il migliore). Il tentativo di ripresa e di non farsi catalogare come “quelli di Ten” facendo uscire un controverso No Code. Poi sprazzi qua e la di buona vena in alcune tracce di Yeld, un quasi passabile Binaural, il colpo di coda di Riot Act, politico e intimo (Bush e i ragazzi morti nel concerto di Roskilde) e finalmente si torna a colpire allo stomaco. Il penultimo e omonimo capitolo, ribattezzato Avocado, ci restituisce una band matura, consapevole dei propri mezzi tecnici che si diverte e fa divertire ai loro concerti (l’unica band che a ogni serata cambia 10-15 canzoni della setlist, senza peraltro dimenticare l’omaggio ai propri mentori, che si chiamino Who, Ramones, Beatles), ma che non lascia intravedere scenari di possibili cambiamenti artistici. Ma, sinceramente, non so a quanti di tutti noi, fanatici della band, alla fin fine, interesserebbe davvero uno stravolgimento della messa in scena. In mezzo a tutto questo non dimentichiamo Mirror Ball con Neil Young, le collaborazioni di Vedder con Nusrat Fateh Ali Khan , le colonne sonore, i progetti paralleli dei singoli componenti con altrettante band, l’immancabile quanto dovuto appoggio ad associazioni umanitarie e il doppio cd acustico dal vivo e chissà quanto altro ancora al momento il cervello si rifiuta di suggerirmi. I 36 minuti del nuovo album, Backspacer si possono riassumere così: i pezzi più duri nel classico rock/punk/grunge (il trittico iniziale e Supersonic); quelli mid tempo con qualche spruzzata di anni ’80 e più radiofonici (su tutti Force of Nature) e le 2 ballate che sono anche le più belle dell’intero lavoro, Just Breathe e The End, con un sempre più evocativo Vedder: due canzoni figlie illegittime quanto naturali di Into the Wild … appunto, e tirate fuori al momento giusto, che valgono il prezzo del cd. Nulla di stravolgente ma a me vanno ancora bene così … amongst the waves.
Gianni Ragno
Gianni Ragno
2 commenti:
Forse le risposte non arriveranno mai a colmare i ns. dubbi.
Forse siamo noi che siamo cambiati, maturati affinati i sensi.
Chissà?
Di certo oggi trovare un disco che ci colpisca , che ci faccia saltare dalla seduta del cesso è operazione davvero difficile.
Boh???
Lascio perdere e mi accontento di ascoltarli, presenti come sono stati nella mia ( ns. vita- ti ricordi il concerto al palaeur??)vita li accetto per quello che sono. Inutile pormi ancora dubbi sulla loro qualità. ce l'hanno come del resto hanno dimostrato negli anni di carriera. Gli U2 sono un altro capitolo, non fanno testo e nemmeno gli si può chiede un confronto con i PJ.
parli del concerto aperto con release...mamma che brividi. alla prossima venuta però ci saremo. comunque sono d'accordo con te. le pippe critiche agli altri, a noi la musica che ci piace!
Posta un commento