TALKING HEADS - Remain in Light
Una volta (ancora) nella mia vita!!!!
(omaggio a Roberto)
Domenica. Resto per un istante a fissare la parete al di sopra della postazione domestica dove alberga il mio PC , fonte inesauribile di pensieri, musica e quant’altro. Mi accorgo che le 4 maschere al di sopra ( si, di quelle maschere che in estate si vedono sulle bancherelle di tanti venditori sul lungomare ) somigliano molto alle 4 facce mascherate della copertina di Remain in Light, pietra miliare oltre che per gli annali di musica, per chissà quanta gente e non ultima per il sottoscritto Pietra miliare appunto sin dalla copertina, che non fu indiscutibilmente una scelta casuale, ma uno studio ben preciso. Oggi con la scienza tecnologica a disposizione anche un bambino di 5 anni riuscirebbe a realizzare qualcosa del genere, ma all’epoca ( parliamo del 1980) solo grandi photo-designer o art-designer affermati potevano azzardare tanto. Di fatti la copertina, che per un disco è l’immagine chiave in grado di trasmetterne la grandezza ed il contenuto, doveva essere studiata nei particolari. E così fu per Remain in Light. Impatto decisivo : quattro cyber-stregoni africani che ti fissano. In grado ognuno di regalarti sguardi incazzati, tenebrosi o dolci sorrisi. Il retro della copertina poi, ancor di più lascia confusi.
Uno stormo di caccia americani . Cinque di essi scompariranno poco dopo essere stati ritratti in quella foto , nel famigerato Triangolo delle Bermuda. A dir poco inquietante. Così come lo sono i suoni del quasi 30enne disco a marchio Talking Heads, i quali già forti dei lavori precedenti, sciorinano una gran genialità che li porta con questo disco, ma in particolare con il brano Once in a Lifetime, a ricoprire la cattedra di predicatori Funk in chiave post-industriale. Un suono quello custodito al suo interno, che ritrae le nevrosi occidentali, e la primordialità tribale. Uno scrigno inespugnabile ricolmo di sonorità variegate orientate al futuro. Una espressione delle percussioni e delle chitarre che delinea un nuovo modo ( già assaporato con l’ottimo Fear of Music – per me un gradino sopra ) di concepire il funk. Orientato al futuro. Qualcosa che può far sbavare i Red Hot Chili Peppers dei vecchi tempi, o ancora i precursori di una certa House e gli amanti di un certo filone Rap. E poi quella voce da predicatore del terzo millennio non può che impreziosire. Per alcuni brani le parole scorrono veloci, senza un senso ben definito. Una sorta di “glossolalia” che porta Byrne a declamare quasi fosse posseduto da uno spirito malefico. In altri brani il cantato- che è quasi un parlato- si presenta funereo ed incute timore. Insomma mettiamola come ci pare, rimane questo disco un capolavoro nell’accezione più elevata che si possa concepire. Dopo l’ascolto ci si ritrova nudi e sudati, con il fiato in gola e la voglia di ballo tribale ci pervade portandoci per le strade della nostra città in cerca di quei segni di primitività che la vita d’ufficio ci ha nascosto per anni, lasciandoci una riflessione scontata ma quanto mai giusta : “Dove siamo finiti per colpa del progresso???" Ma si sa domani sviliti e con la compostezza di sempre, crudelmente riprenderemo ancora una volta la nostra vita lavorativa.
Buon ascolto.
Giamp
Una volta (ancora) nella mia vita!!!!
(omaggio a Roberto)
Domenica. Resto per un istante a fissare la parete al di sopra della postazione domestica dove alberga il mio PC , fonte inesauribile di pensieri, musica e quant’altro. Mi accorgo che le 4 maschere al di sopra ( si, di quelle maschere che in estate si vedono sulle bancherelle di tanti venditori sul lungomare ) somigliano molto alle 4 facce mascherate della copertina di Remain in Light, pietra miliare oltre che per gli annali di musica, per chissà quanta gente e non ultima per il sottoscritto Pietra miliare appunto sin dalla copertina, che non fu indiscutibilmente una scelta casuale, ma uno studio ben preciso. Oggi con la scienza tecnologica a disposizione anche un bambino di 5 anni riuscirebbe a realizzare qualcosa del genere, ma all’epoca ( parliamo del 1980) solo grandi photo-designer o art-designer affermati potevano azzardare tanto. Di fatti la copertina, che per un disco è l’immagine chiave in grado di trasmetterne la grandezza ed il contenuto, doveva essere studiata nei particolari. E così fu per Remain in Light. Impatto decisivo : quattro cyber-stregoni africani che ti fissano. In grado ognuno di regalarti sguardi incazzati, tenebrosi o dolci sorrisi. Il retro della copertina poi, ancor di più lascia confusi.
Uno stormo di caccia americani . Cinque di essi scompariranno poco dopo essere stati ritratti in quella foto , nel famigerato Triangolo delle Bermuda. A dir poco inquietante. Così come lo sono i suoni del quasi 30enne disco a marchio Talking Heads, i quali già forti dei lavori precedenti, sciorinano una gran genialità che li porta con questo disco, ma in particolare con il brano Once in a Lifetime, a ricoprire la cattedra di predicatori Funk in chiave post-industriale. Un suono quello custodito al suo interno, che ritrae le nevrosi occidentali, e la primordialità tribale. Uno scrigno inespugnabile ricolmo di sonorità variegate orientate al futuro. Una espressione delle percussioni e delle chitarre che delinea un nuovo modo ( già assaporato con l’ottimo Fear of Music – per me un gradino sopra ) di concepire il funk. Orientato al futuro. Qualcosa che può far sbavare i Red Hot Chili Peppers dei vecchi tempi, o ancora i precursori di una certa House e gli amanti di un certo filone Rap. E poi quella voce da predicatore del terzo millennio non può che impreziosire. Per alcuni brani le parole scorrono veloci, senza un senso ben definito. Una sorta di “glossolalia” che porta Byrne a declamare quasi fosse posseduto da uno spirito malefico. In altri brani il cantato- che è quasi un parlato- si presenta funereo ed incute timore. Insomma mettiamola come ci pare, rimane questo disco un capolavoro nell’accezione più elevata che si possa concepire. Dopo l’ascolto ci si ritrova nudi e sudati, con il fiato in gola e la voglia di ballo tribale ci pervade portandoci per le strade della nostra città in cerca di quei segni di primitività che la vita d’ufficio ci ha nascosto per anni, lasciandoci una riflessione scontata ma quanto mai giusta : “Dove siamo finiti per colpa del progresso???" Ma si sa domani sviliti e con la compostezza di sempre, crudelmente riprenderemo ancora una volta la nostra vita lavorativa.
Buon ascolto.
Giamp
3 commenti:
Ricordi di gioventù 2
Adoro questo brano. Anni fa / all'incirca 20) ero a Frankfurt e non avevo mai visto il video originale , su una emittente Tetesca di Germania ya, vedo il video e rimango colpito dal fatto che la moquette della camera dove vivevo era dello stesso colore del pavimento del video. Allora mi butto sul pavimento e comncio a muovermi come DB......che libine liberare la primordialità.....
I casi della vita: qualche giorno fa proprio Roberto mi raccontava che l'ultima volta che era stato a Londra ne aveva approfittato per comprare Remain in Light, ma al negoziante chedeva Rèmain in Light. Poi si è ricordato che in inglese si pronuncia Remàin in Light e così è riuscito a fare l'acquisto. E in effetti a pensarci l'ho sempre pronunciato anch'io facendo cadere l'accento sulla e. Non si finisce mai ecc.
Disco da isola deserta...
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