"Ma quella che davvero i Governi di destra e di sinistra si palleggiano, è la deriva di una società antisociale, che scoppia di regole che nessuno osserva, che ha capovolto i comandamenti dell'etica e delle religioni rivelate, che premia il sopruso in quanto tale. Qui si misura il fallimento delle coalizioni che ad ogni tornata elettorale promettono più morale, maggiore concordia, migliore raziocinio e poi, una volta preso il potere, si arrendono in partenza, senza combattere. Si alternano i regimi, di destra, di sinistra ma non cambiano le stragi idiote dei sabato sera, l'Alzheimer giovanile da tubo catodico e da computer, la deriva di una scuola dove le ragazze, i disabili, gliomosessuali, gli immigrati sono aggrediti, seviziati, a volte uccisi, naturalmente su YouTube. Ragazzi afasici, rabbiosi anche perchè frustrati dal non saper esprimere un pensiero compiuto (il che equivale a non sapere pensare) liberano tutta la loro violenza per qualsiasi pretesto, e questi sono i cittadini di domani, che dovranno prendersi carico dei nostri giorni stentati, coperti dalle ali bianche e fragili della vecchiaia. In un Paese, in un continente, in un mondo sempre più sconcertato, mescolato e diviso. Di destra, di sinistra o di quello che volete, ma se qualcuno ha qualche soluzione per scongiurare l'implosione del pianeta, come una stella che lascia un urlo nel vuoto infinito, per favore si faccia avanti. I tempi stanno cambiando, ma sono quasi finiti".
L’attuale scena pop (soprattutto) di stampo inglese, sembra ormai aver trovato una sua connotazione ben precisa. In effetti, molta della musica che arriva dalla terra di Albione è fatta di una particolare miscela che mischia dosi massicce di anni ’80, tastiere ben in evidenza, tappeti di chitarre elettriche, e in più, la giusta dose indie. Anche questo album d’esordio degli Haunts, non riesce ad andare oltre le linee guida del momento. L’album risulta gradevole nella sua interezza, e questo, per essere il loro debutto, gli rende sicuramente onore, con canzoni che soddisferanno il palato di chi ama band come i Kaiser Chief, forse gli antesignani di questa nuova tendenza. La voce, molto profonda del cantante, ricorda un po’ quella del singer dei Madrugada, MA!(pausa) in particolare quella del duca bianco, al secolo David Bowie. Provate infatti ad ascoltare le canzoni contenute in Let’s Dance del 1983 (Modern Love su tutte). Poi chiudete gli occhi ed ascoltate una delle canzoni presenti nell’album degli Haunts, ad esempio Love Is Blind o Black Eyed Girl, e i dubbi svaniranno. Per essere all’esordio si guadagnano la mia stima e la piena sufficienza, con la speranza di assistere ad una loro evoluzione futura che rompa questi schemi, che (per i miei gusti) stanno un po’ appiattendo la scena indie inglese del momento.
Gianni Ragno
Non essendoci video a disposizione su you tube vi rimando al sito di myspace ovvero: www.myspace.com/haunts
Ma, del Bowie, vi lascio la Modern Love in questione.
venerdì 19 dicembre 2008
PEARL JAM(2006)
Severed Hand. Non so perché ma quel motivo mi è rimasto in testa e mi segue in questi giorni di festa. Eppure di brani dei PJ ne ho ascoltati, visti per due volte in concerto; tuttavia c’è qualcosa che non mi convince in questo ultimo lavoro (targato 2006). Eh si, che avrei potuto parlarvi di altri lavori più abbordabili, ma il rischio è il mio mestiere ed è per questo che sono qui seduto di fronte ad un monitor a raccontarvi le emozioni del momento. Pearl Jam, l ‘omonimo lavoro, ha creato non pochi problemi alla critica musicale ufficiale. Recensirlo come un disco di ritorno al rock, farlo combaciare come maturità artistica, boh? E’ il caso anche prima di cominciare che io metta le mani davanti: sono un fan incallito dei PJ; ho divorato TEN , masticato Vitalogy, adorato Yeld e soprasseduto su Riot Act. Insomma, ci siete arrivati già da soli, sono forse l'ultima persona che possa recensire in maniera imparziale un gruppo simile. Il disco più fedele dell’era primordiale PJ. Ci riporta addirittura a Versus o a Binaural con le sue sonorità ed i suoi riff. Basta guardare anche il look dai lunghi capelli di Eddie Vedder e le schitarrate di Mc Cready, possenti ed imperiose. Eppure qualcosa sembra mancare. Le prime quattro tracce sembrano molto simili, forse Cameron non ha ancora smesso, quando suona, di pensare ai Soundgarden, e questo potrebbe alla lunga essere un limite per i PJ. Magari la formula adottata nel passato di utilizzare più “drummers” in un solo disco potrebbe dare nuova linfa ai prossimi progetti. Anche il ripetersi di sfumature rubate al passato di altri artisti denota questo qualcosa che manca. Riferimenti Hendrixiani, chitarre rubate ai Cure, manciate di REM e sfumature Springsteen dipendenti. Insomma un lavoro dove la rabbia e il disaccordo con la politica Americana ma soprattutto con la società a cui non si sentono più legati, emerge dalle corde vocali di Vedder, come dalle chitarre di Mc Cready. Forse davvero Severed Hand mi è rimasto in testa per puro caso, forse davvero il figlio del mio Caro amico Gianni è stato capace di regalarmi nuove emozioni e spunti di riflessione. Auguri e buon ascolto!!! Giamp
Pearl Jam - Severed Hand (Live at Immagine in Cornice)
giovedì 18 dicembre 2008
Ci si lamenta dell'eccessiva esterofilizzazione del nostro paese. Il fatto e' che se io ho la figlia dell'inquilino di sopra che frequenta la scuola media, dove si ostinano ad insegnare ancora il flauto, che la gentilissima signorina prova tutto il giorno a suonare, mentre negli Stati Uniti si esce da scuola in grado di saper suonare la chitarra, questo me le fa girare alquanto. Non solo. Un giorno si presentano i Weezer a scuola e dicono "ehi guys che ne dite se tutti insieme suoniamo Creep dei Radiohead !?!?!" Pensate invece che qualche giorno fa una scuola italiana ha avuto la fortuna (vincendo un concorso!!!) di avere un'esibizione del vincitore della passata edizione di "amici".
lunedì 15 dicembre 2008
A NATALE OGNI STORIA VALE
Si chiamavano Jimi, Bonzo e Flea. Venivano da molto lontano e avevano una missione da compiere: incontrare il RE. Per rendergli i dovuti onori al momento dell’incontro, decisero di portare con loro dei doni preziosi da consegnargli. E cosìBonzo portò dell’ottima birra, Flea delle antiche cartine per orientarsi nel deserto e Jimi l’incenso…quello buono. All’embargo dell’aeroporto arabo di Damò-Eke-Arrivaddà, furono severamente ammoniti dalla locale polizia affinché nessuno di loro nascondesse tra i doni un’arma pericolosa, così come la tradizione voleva. Atterrati all’aeroporto di Lasvegas?Sticas! in pieno deserto del Nevada, vennero anche qui ammoniti per via del loro carico sospetto, ma per ragioni ovviamente opposte. All’uscita della stazione aeroportuale, una scassatissima automobile modello Starsky e Hutch li accolse per intraprendere il viaggio. All’una e mezza circa, nel mezzo del loro cammino, in pieno solleone e in maniera del tutto arbitraria, l’auto decise che era giunto il momento degli addii e si accasciò al suolo esanime. Disperati ma ricolmi di fede, i nostri eroi scaricarono il necessario dall’auto e proseguirono il cammino a piedi, sicuri che ben presto un segnale li avrebbe illuminati e condotti sulla retta via. Ma il caldo si fece sempre più opprimente, e, terminate le riserve di acqua, capirono che era arrivato il momento di scartare i regali. Così tutte le birre a disposizione si concessero alla loro sete senza risparmiarsi, placandogli piano piano la forte arsura che li stava prosciugando. Il giorno seguente, alla stessa ora, il problema si ripresentò, e dopo aver preso atto che gli unici segnali pervenuti erano stati solo visioni di oasi e cascate d’acqua in ogni dove, furono costretti a sacrificare gli altri due regali per combattere i miraggi: fu così che le antiche cartine di Flea, ormai consumate dal sole, accolsero l’incenso di Jimi, che andò completamente in fumo… Questa pratica si protrasse fino al calare del buio, poi si addormentarono. Ma durante la notte furono svegliati da un rumore in lontananza, che poco alla volta si fece sempre più forte, sempre più vicino. Si destarono dal loro sonno e ben presto quei rumori presero la forma di una folla oceanica che andava nella loro stessa direzione. Ma non era gente comune, no. Erano criminali della specie peggiore: tangentisti, estorsori, mafiosi, camorristi, piduisti, tronisti, assenteisti, perbenisti, pretipedofili, spacciatori, usurai, protagonisti e spettatori dei reality show. Approfittando della confusione, i Tre si accodarono al gregge, certi di essere accomunati dalla medesima destinazione. Camminarono per altri due giorni. La notte del terzo giorno finirono in una valle enorme, in mezzo alla quale si erigeva il palco più grande che avevano mai visto. All’improvviso il silenzio della notte li avvolse. I tre amici capirono di essere arrivati e, così, illuminati d’immenso, raggiunsero il palco e vi salirono sopra. Le luci si accesero, incendiando il palco e l’intera valle. Jimi imbracciò la sua Fender Stratocaster, Bonzo corse dritto a sedersi sullo sgabello per suonare la batteria e Flea strinse a se il basso e iniziò a pizzicare le corde per il soundcheck. I tre rimasero da soli per poco. Infatti, dopo aver accordato per bene gli strumenti, furono raggiunti sul palco da un quarto membro. Era lui… il RE. L’unico, originale, con numerosi tentativi di imitazione. Elvis, sceso sulla terra per redimere i peccatori accorsi in massa. Ricolmo di lustrini come non mai e con il ciuffo ben saldo sulla testa, afferrò il microfono, e facendo roteare il bacino nella sua più classica mossa, diede il la … e il sol …a quello che fu il più grande concerto che l’uomo ricordi. La musica purificò gli astanti dei loro peccati per tutta la durata dello spettacolo. Giunti ormai all’alba del giorno dopo, qualcosa di ancora più incredibile accadde: un Uomo, vestito con una lunga tunica bianca, capelli lunghi e barba incolta, seguito da un manipolo di discepoli, arrivò nella valle dove il concerto volgeva al termine. Elvis si accorse del giungere del nuovo arrivato e fece cenno alla band di fermare la musica. Il silenzio si impossessò della valle. L’Uomo, che aveva saputo di questo mega raduno, non riusciva a comprendere il motivo di tanto clamore, dato che fino al giorno prima era stato Lui il più bravo a radunare le folle oceaniche grazie al suo show di illusionismo e magia (moltiplicazione del cibo e altra roba del genere), Così andò deciso verso il palco. Vi salì sopra, e arrivato davanti al RE, lo guardò prima negli occhi, poi si chinò tenendogli la mano e disse… “Papi… sei qui!”. Elvis lo tirò su e lo abbracciò calorosamente. Poi, entrambi, si girarono verso il pubblico e mentre il gruppo intonava le prime note dell’ultima canzone, il RE disse alle genti: OGGI E’ UN GRANDE GIORNO! SIETE STATI RIBATTEZZATI E AVETE FINALMENTE RICEVUTO IL DONO DELLA CONOSCENZA! ANDATE …. E DIVULGATE IL VERBO PER TUTTO IL MONDO…. IL VERBO DEL ROOOCK … AND …. ROOOOLLLL !!! People Have The Power cominciò, e da quel giorno in poi il mondo fu un posto migliore dove vivere.
BUONNATALE A TUTTI.
venerdì 12 dicembre 2008
GLI ITALIANI LO FANNO MEGLIO
Moltheni - Natura in Replay (1998)
Per essere originale lo è stato abbastanza da non entusiasmare più di tanto la critica al Festival di San Remo nel 2000 con il brano Nutriente ( sigh !!!). E’ da qui che vorrei partire per provare a descrivere il personaggio Moltheni , alias Umberto Giardini nato a S.Elpidio e cresciuto artisticamente in quel di Bologna, noto per la sua strana somiglianza vocale con Carmen Consoli (oltre che con Beck secondo la rivista Il Mucchio Selvaggio) con cui condivide oltre che il modo di cantare singolare ( tanto da definirlo un clone maschile della “cantantessa” ) anche la produzione musicale di F. Virlinzi, fautore di quella etichetta musicale che fu la Cyclope Records. Di Virlinzi si sa, la prematura scomparsa fece si che la stessa etichetta finì di esistere. Moltheni, invece, tenne banco, forte della sua esperienza con gli Hameldome ad Arezzo Wave e degli anni in giro per la Scozia a farsi la scorza, dimenandosi in un periodo dove Scisma, Afterhour e Verdena pure si affacciavano sul palcoscenico italiano. Pubblica appunto il primo lavoro nel 1998, “Natura in Replay“, lavoro in cui la semplicità non sottrae nulla alla originalità e nulla aggiunge al dilettantismo. Semmai le sue liriche, nude e di linguaggio esplicito, tanto da destare sbigottimento, delineano la sua posizione di fronte all’universo femminile (mai tormentato o complicato) e di fronte alla possibilità di competere con il bene ed il male. Gli accostamenti non mancano, N. Drake, J. Buckley, o ancora Smiths e Nirvana. Il suo modo di suonare la chitarra è tale da rendere la stessa strumento protagonista nella sua semplicità e limpidezza; il suo stile ruota attorno alla possibilità di sviluppare armonie ipnotiche non omologabili e con densità unplugged, affiancate da suggestivi “piano Wurlitzer”. Difficile segnalare questo o quel brano da questo disco, il tutto gira nel lettore come un continuo flusso seducente, con testi pieni di cinismo ed autoironia, capaci di portarti all’essenza delle cose. Non è facile comprendere certe sfumature, ragione per cui la critica non lo apprezza troppo, definendolo intimista e pessimista (ma non si disse lo stesso di Tenco ?) Successivamente alla pubblicazione dell’album d’esordio cerca di dare una sterzata al suo modo di proporre la sua musica, dedicandosi anche a stili di musica diversi come un sano stoner–rock italiano, ma non troppo, finendo per ritornare alle origini. Un bel biglietto da visita in tempo di caccia grossa al consenso ( X Factor docet ). Personalmente non me lo perdo di vista: prendere o lasciare!!! Giamp
... CHE TRADOTTO IN MUSICA ...
martedì 9 dicembre 2008
FLEET FOXES - White Winter Hymnal
Benchè ampiamente osannati dalla critica, trovo il loro disco piuttosto monotono. Ma la canzone in questione è davvero un gioiellino, nonchè molto natalizia nelle atmosfere.
giovedì 4 dicembre 2008
MEGAPUSS - SURFIN'
Quanto più è inclassificabile la musica che si ascolta, tanto più diventa impresa ardua recensirla e scriverci qualcosa di compiuto. E in questo i Megapuss (ci sarebbe tanto da dire e da insinuare sul loro nome, no?!?!), vanno dritti allo scopo. Però ne vale davvero la pena. Sembra un supergruppo fatto dai Beach Boys e dai Beatles, ma in realtà sono in due e sono Devendra Banhart & Greg Rogove. Il primo senz’altro più noto e molto apprezzato per la sua carriera da solista (per chi volesse approfondire segnalo Nino Rojo, Rejocing The Hand), il secondo facente parte di un gruppo chiamato Priestbird, cha hanno all’attivo un solo album “In Your Time” molto ben congegnato di rock psichedelico che ricorda molto gli ultimi TK Webb & The Vision. (mentre è in corso l’ultimazione del secondo album che sarà prodotto da Stone Gossard dei Pearl Jam). Così è accaduto che dall’incontro tra i due ne ha nata una collaborazione davvero singolare visto il risultato del debutto Surfin’. Indubbiamente prevale la scrittura di Banheart in molte delle canzoni. Ma gli intrecci e le bizzarre misture pop folk create sono tante e difficilmente catalogabili (meno male!). Tante belle canzoni da segnalare a cominciare dall’inizio sognante di Crop Circle Jerk '94 con chitarra slow, e poi via via le altre con To The Love Within, Adam & Steve (di cui il video in basso con inserto chitarristico di Carless Whisper di George Michael, ebbene sì), una grandiosa Surfin’ e una lunga e suadente Sayulita. Un disco stralunato, strampalato e sognante: lasciatevi ammaliare prima dell’ingorgo dei jingle natalizi. Gianni Ragno
"Hai creato un mostro!" ha esclamato mia moglie. "Io ho acceso solo lo stereo!" le ho risposto candidamente, mentre dal sedere mi spuntava la coda. Ad un certo punto del video, alle spalle del cantante, un tentativo di sabotaggio...