venerdì 28 gennaio 2011

THE CURE, 30 anni fa usciva Seventeen Seconds

[un bel ricordo dei The Cure a cura di Giamp, a trent'anni dall'uscita di Seventeen Seconds. Il live postato è quello del 1986 registrato a Parigi. Buona lettura e buon ascolto.]
Proprio ad essere sinceri io ai The Cure mi sono avvicinato ascoltando l’album Faith che insieme ad altri 2 dischi quali Pornography e Seventeen Seconds, a giudizio della critica non è risultato essere certamente il migliore. Album che, come spesso accade, ho recuperato in seguito e dei quali me ne sono innamorato. Fortissima è stata poi l’ influenza di una cara amica, la quale aveva, e penso abbia ancora, una passione enorme, esagerata, per certi versi, riguardo The Cure e un po’ verso il fenomeno dark-goth del periodo. Immaginate quindi come venivo considerato da certe amicizie decisamente filo-metallare. Io che me ne stavo in disparte ad ascoltare The Cure, Bauhaus, Joy Division e compagnia bella e che pure fino a non molto tempo prima mi sparavo vagonate di Buzzcocks, Sex Pistols, Clash. Walkman a portata di orecchie, passeggiate sul bagnasciuga in giornate cupe e fredde. Brrrrr, roba da rabbrividire! Passeggiate a parte, in the meantime leggevo dell’uscita imminente del nuovo disco dei The Get up Kids dal titolo There are Rules mi è venuto alla mente, di aver letto tempo fa, che per il loro nome si sono ispirati al testo di una canzone dei The Cure. Per l’esattezza, se la memoria non mi inganna, il brano in questione è The Suburban Get Up Kid che loro modificarono in The Get Up Kids. E proprio mentre spulciavo nel web notizie su questa band, mi parte un altro ricordo. Mi son detto: ma sai che quest’anno, proprio dei The Cure, ricorre il trentennale dell’uscita di un album storico e di impatto come Seventeen Seconds ? Quale occasione migliore per dire 4 cosucce “brevi”, ma brevi, su ciò che è stato per il sottoscritto l’ascolto e le sensazioni di quel disco! Certo, l'album con cui esordirono si presentava di matrice ben diversa: Three Imaginary Boys, praticamente palpava il culo ad un punk oramai riconsegnato agli annali della musica. Basterebbe ascoltare It’s Not You oppure So What per averne conferma; senza contare il fatto che non di certo attingeva in quella indubbia emotività funerea ed a tratti luttuosa. Graffianti chitarre ed un modo di cantare che poco aveva a che fare con quanto sarebbe successo in Seventeen Seconds dove la luce si affievolisce e comincia a vedersi l’ombra di quella foresta buia e silenziosa, dove anche respirare era difficile. Poi d’un tratto le chitarre vengono coperte da una coltre grigia e spessa di cenere e farcite di flanger e chorus al’infinito. Un cantato che corre sulla linea del monocorde. Il basso imbottito di compressor. La cenere del nichilismo e della disperazione più profonda. Ansia, solitudine, smarrimento presero il sopravvento e divennero i tratti somatici del genere Dark. Uso di droghe, perdita di fede verso una vita che R. Smith non sentiva più di poter condurre fino al punto di rifiutarla, hanno fatto il resto. Inquietudine che porta all’autodistruzione del gruppo, quasi. Li ad un passo dal baratro. Anche economicamente le cose non andavano bene, costretti per affittare lo studio di registrazione a ridurre al limite le spese per gli strumenti (non che vi fosse bisogno di chissà cosa per quel disco scarno).
** Un paio di curiosità: la band non potendosi permettere altre spese dormì sul pavimento della sala di registrazione; The Final Sound era stata concepita come un lungo pezzo strumentale ma la cassetta si era esaurita durante l’esecuzione e non potendosi permettere di usarne un’altra rimase registrata in parte. Il suono che si sente alla fine e il nastro che finisce. **
Ad ogni modo non proseguirono su quella strada e i tratti cupi lasciarono il passo ad album come Disintegration, che nel loro genere hanno fatto la storia e (soprattutto) la fortuna dei The Cure. Ora mi sembra assai curioso vedere il sig. Smith (che alle origini somigliava inconsapevolmente e maledettamente a Ben Affleck) alle prese con "line up" rinnovate e con qualche chilo in più. Non vorrei trovarmelo di fronte e notare che sotto il cerone ci fosse pure qualche ruga. Da ultimo mi sia concessa una “breve” serie  di dediche.
- Alla mia cara amica Gabriella per la passione con cui ha saputo farmi conoscere meglio questa band.
- Al compianto Michelino per avermi concesso nelle sue serate una personale e quanto mai splendida versione di A Forest;
- A Scirocc’ Umberto, che da anni vive in Francia, all’ audacia che aveva nel cotonarsi i capelli e contornarsi le labbra con abbondante rossetto color rosso sangue.
- A Fabio “Fabiett” Cavallaro e alla disinvoltura con cui indossava i suoi cappottoni neri e ai suoi dischi dei Bauhaus.
- A Raimondo Rosiello grafico e designer che abbelliva le nostre feste con origami, lumini e quant’altro donasse un tocco di darkeggiante serenità alle feste.
Al proprietario dell’ ormai cessato Pub Il Sombrero per averci omaggiato ogni sera del Concerto Orange live in Paris. Alla generosità di quanti a quei tempi hanno creduto in noi.
“Hear a voice calling my name, sound is deep in the dark…into the trees.”
Buon ascolto.
Giamp

Live at the Théâtre Antique d'Orange, France on the 9th and 10th of August 1986


1. Intro - 2. Shake Dog Shake - 3. Piggy In The Mirror - 4. Play For Today - 5. A Strange Day - 6. Primary - 7. Kyoto Song - 6. Charlotte Sometimes - 9. In Between Days - 10. The Walk
11. A Night Like This - 12. Push - 13. One Hundred Years - 14. A Forest - 15. Sinking - 16. Close To Me - 17. Let's Go To Bed - 18. Six Different Ways - 19. Three Imaginary Boys - 20. Boys Don't Cry - 21. Faith - 21.Give Me It - 22. 10.15 Saturday Night - 23. Killing An Arab

3 commenti:

DiamondDog ha detto...

un capolavoro assoluto, tra i primi dieci dischi della mia vita

Lucien ha detto...

Da brividi: ascoltato e riascoltato all'infinito.

Stefania248 ha detto...

Robert era il mio idolo (dopoi doors).
:)